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Congo, manifestazioni nella capitale Kinshasa: «Assalti ad ambasciate». I ribelli dell’M23 prendono Goma, oltre 100 morti

28 Gennaio 2025 - 14:01 Filippo di Chio
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Il gruppo armato ha preso il controllo della regione ricca di coltan, minerale cruciale per la produzione di chip. Tajani: «Sede italiana non aggredita»

Sono oltre 100 i morti nei combattimenti a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, e quasi 1.000 feriti, secondo un conteggio dell’Afp basato su un rapporto degli ospedali. Gli ospedali sono stati sopraffatti da pazienti con ferite da arma da fuoco e da schegge, hanno detto martedì le Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie, citate dal Guardian. «La situazione umanitaria a Goma e dintorni rimane estremamente preoccupante – ha detto Jens Laerke, portavoce dell’ufficio umanitario delle Nazioni Unite (Ocha), durante un briefing a Ginevra -. Abbiamo segnalazioni di stupri commessi da combattenti, saccheggi di proprietà e strutture sanitarie umanitarie colpite».

Gruppi di manifestanti hanno preso d’assalto diverse ambasciate a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. Tra queste, secondo quanto ha riferito il ministro degli Esteri Antonio Tajani, non ci sarebbe quella italiana. Gli attacchi si sono concentrati anche sulla sede diplomatica del Ruanda: una reazione all’appoggio fornito al gruppo armato ribelle M23, che tra domenica 26 e lunedì 27 gennaio ha preso il controllo di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu. Siamo all’apice di un conflitto – quello tra il “Movimento per il 23 marzo” e il governo congolese – che va avanti dal 2022, ma che nelle ultime settimane si è intensificato fino all’assedio della città. Inutili i tentativi di impedire lo scontro a fuoco da parte delle missioni di peacekeeping dell’Onu: 13 caschi blu sono rimasti uccisi durante le operazioni dei miliziani. Al momento si contano oltre 400mila sfollati dalle zone orientali del Paese.

L’allerta della Farnesina e la fuga degli italiani

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha avuto oggi un colloquio con l’ambasciatore italiano a Kinshasa per accertarsi che la situazione sia sotto controllo. Tra le ambasciate prese di mira – ha tranquillizzato il diplomatico – non ci sarebbe quella italiana. Al momento alcuni nostri connazionali sono già usciti dal Congo verso il Ruanda, mentre 15 rimangono a Goma, la città caduta in mano ai ribelli: si tratta per lo più di religiosi e cooperanti. È stato nel frattempo attivato anche un canale diretto con l’ambasciata a Kampala, in Uganda ma che gestisce anche i rapporti con il Ruanda, nel caso fossero necessari interventi di assistenza al di là del confine. È il caso di Marco Rigoldi, un italiano che ha raggiunto con la moglie incinta la capitale ruandese Kigali.

La presa di Goma

Già nelle settimane precedenti alla presa di Goma, l’M23 aveva cominciato le operazioni di accerchiamento del capoluogo di regione conquistando i centri urbani vicini. Poi l’affondo decisivo domenica 26 gennaio anche grazie al sostegno di un contingente ruandese di circa 4mila uomini, come hanno rivelato numerosi report delle Nazioni unite. Un sostegno operativo che si è concretizzato in addestramento e fornitura di armi avanzate, tra cui visori notturni e mitragliatrici. La richiesta di «ritirarsi» da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, così come le minacce da parte del governo di Kinshasa, sono cadute nel vuoto. Secondo Bintou Keita, rappresentante speciale delle Nazioni unite nel Congo, l’M23 avrebbe anzi «utilizzato abitanti come scudi umani», in particolare nell’avanzata verso il centro della città. «Tutti i residenti di Goma rimangano calmi. La liberazione della città è stata compiuta con successo e la situazione è sotto controllo», è stato l’annuncio ufficiale su X del portavoce del gruppo armato Lawrence Kanyuka. I video lo hanno confermato: la città è in mano ai ribelli.

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Nelle ultime settimane centinaia di migliaia di congolesi sono fuggiti dal conflitto armato entrando in Ruanda

La missione de-escalation e i rischi di una nuova diffusione di Ebola

La missione ora diventa tentare di evitare l’escalation. Tra due giorni i presidenti della Repubblica democratica del Congo e del Ruanda si dovrebbero incontrare in una riunione d’emergenza, grazie alla mediazione del vicino Kenya. La speranza è quella di sospendere i combattimenti almeno momentaneamente, dopo che lunedì mattina gli eserciti dei due Paesi confinanti si sono scambiati colpi di artiglieria che hanno costretto l’aeroporto di Goma a sospendere tutti i voli. Arrivare perlomeno a un cessate il fuoco, però, consentirebbe di tenere sotto controllo le zone più a rischio della città. Tra quelle il laboratorio di ricerca biomedica sull’Ebola, che secondo la Croce rossa starebbe rischiando «interruzioni di corrente» e non pochi problemi nella «conservazione dei campioni». Eventuali danneggiamenti causati dal conflitto avrebbero «conseguenze inimmaginabili», con una nuova diffusione del virus.

La ricchezza di Goma: minerali per costruire chip

L’Onu e l’Unione europea richiamano all’ordine e chiedono la fine del conflitto, la Farnesina dice di seguire da vicino i disordini. Washington – tramite il nuovo segretario di Stato Marco Rubio – afferma la sovranità del governo di Kinshasa su Goma. Ma perché è così importante la regione del Nord Kivu, tanto da spingere i ribelli a un’azione armata del genere? Il nord-est della Repubblica democratica del Congo è ricchissimo di miniere di coltan, il minerale da cui – dopo un’opportuna lavorazione – si possono estrarre i componenti fondamentali per costruire i microchip per i cellulari. Quelle miniere garantiscono introiti superiori agli 800mila dollari al mese. Il Nord Kivu è poi anche un crocevia per le rotte commerciali che portano in Ruanda e in Uganda e ai porti kenyoti. Controllarlo significa, per l’M23, imporre un pedaggio per il passaggio delle merci e quindi aumentare gli introiti.

Il genocidio del 1994 e l’orgoglio della etnia Tutsi: chi sono i miliziani dell’M23

L’M23 è uno dei numerosissimi gruppi armati che si concentrano nelle regioni orientali della Repubblica democratica del Congo. Con la particolarità, però, di essere una milizia finanziata e appoggiata operativamente dal governo ruandese per ragioni prettamente etniche. In che senso? Nella regione centrale del continente africano ci sono due gruppi etnici dominanti in perenne guerra tra loro: gli Hutu e i Tutsi. Nel 1994 in Ruanda si consumò uno dei più terribili genocidi, quando gli Hutu trucidarono centinaia di migliaia di Tutsi per prendere il potere. Poco dopo, però, i Tutsi ripresero il potere con l’attuale presidente Paul Kagame e cacciarono migliaia di Hutu nella vicina Repubblica democratica del Congo.

Da quel momento il governo di Kigali ha sostenuto qualunque gruppo armato congolese di etnia Tutsi, esattamente come l’M23. Nati nel 2012, il loro nome (“Movimento per il 23 marzo”) si riferisce alla data di un accordo che pose fine a una precedente rivolta e che prevedeva l’integrazione dei Tutsi nei ranghi dell’esercito e nell’amministrazione congolese. Cose che, secondo loro, non furono rispettate. Già nel 2012 occuparono Goma per una decina di giorni, per poi dileguarsi dopo che il presidente americano Barack Obama aveva minacciato di tagliare gli aiuti internazionali diretti in Ruanda. Ora il rapporto con gli Stati Uniti e con l’amministrazione Trump è un’incognita.

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