Moses Chiediebere perdonerà comunque Rosa Vespa: «Forse un giorno riuscirò a chiederle perché mi ha fatto questo»
Dopo aver parlato nella trasmissione Cinque Minuti, in cui sottolinea che la moglie ha fatto tutto da sola, tenendo all’oscuro sia lui che il resto della famiglia, Omogo Chiediebere Moses torna sul caso che lo coinvolge e che l’ha portato in carcere seppur per poche ore: il rapimento della piccola Sofia nella clinica Sacro Cuore a Cosenza. Lo fa, spiegando a Romina Marceca su Repubblica che è «un essere umano e perdonerò Rosa, non sono il diavolo. Forse un giorno andrò a trovarla in carcere e chiederò a lei di dirmi perché mi ha fatto questo».
«L’ho conosciuta 13 anni fa nella chiesa di Santa Teresa a Castrolibero. Lei cantava nel coro, io ero lì per un progetto come mediatore culturale. Ci siamo conosciuti, piano piano ci siamo innamorati. Ci siamo sposati nel 2021», racconta l’uomo. «Desideravamo un bambino sin da subito. Ma non arrivava. Non avevo che soffrisse particolarmente per questo. Adottare un bambino per noi era troppo difficile». Poi racconta della sorpresa della gravidanza e dei mesi di falsità: «A maggio, quando me lo ha comunicato, sono dovuto andare in Nigeria perché mia madre era morta. Quando sono tornato, a fine agosto, non ho sospettato niente perché la sua pancia era cresciuta di più. La vedevo, la toccavo. Mi faceva vedere anche le ecografie, mi raccontava cosa le diceva il dottore. Leggevo gli esami. Come potevo immaginare che fossero solo bugie?». Voleva accompagnarla nelle visite ma lui, lavorando tutto il giorno, non poteva. «Poi c’è da dire – sottolinea – che non avevo avuto altri figli, non conoscevo tutte quelle cose. E quando accompagnavo Rosa non mi faceva entrare mai, diceva che faceva subito e mi lasciava in macchina». E infine: «Provo un grande dispiacere per la mamma di Sofia. Tutta la famiglia è sicura del fatto che Rosa non stia bene e sperano che questa mamma possa capirlo».
Il video della fuga dalla clinica, la rivelazione di Rosa
Spiega poi i momenti ripresi dai circuiti di videosorveglianza, quando lui vuole sistemare il piccolo Ansel (in realtà era Sofia) nell’ovetto ma succede qualcosa. «Lei stava per sistemare quello che per me era mio figlio e poi all’improvviso mi ha detto di andare via subito. Si è quasi messa a correre e io l’ho seguita, mi sono preoccupato che cadesse con il bambino». E sottolinea che non notò la tutina rosa. «No, perché Rosa gli aveva messo addosso un giubbotto. Poi si è messa nei posti dietro nella macchina e l’avrà cambiata in quel momento». Quando poi alla festa con i parenti vede le immagini che riprendono lui e la moglie intenti a sequestrare la piccola inizialmente non ci crede. Sorride. Pensa che la clinica abbia sbagliato a far girare le immagini. «Perché avevano visto un uomo di colore e avevano creduto che io avessi rapito una bambina. Il solito razzismo, insomma. E stavano sbagliando perché io ero lì per prendere mio figlio». Poi racconta, Rosa confessa. «Ho pensato che stesse facendo una battuta. Ma poi lei ha insistito dicendo che era la responsabile di tutto. I parenti si sono innervositi. Ho pensato subito a quella bambina, che era appena nata, l’ho presa tra le braccia e ho cercato di proteggerla. Pochi secondi dopo la polizia era dentro casa nostra».