Luigi Li Gotti: chi è l’avvocato che ha denunciato Giorgia Meloni
Luigi Li Gotti è l’accusatore di Giorgia Meloni. È lui ad aver presentato l’esposto su Almasri alla procura di Roma, provocando l’iscrizione della premier nel registro delle comunicazioni di reato e l’invio da parte della procura di Roma delle carte al tribunale dei ministri. «Ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi», lo ha definito ieri Meloni nel video con cui ha annunciato l’indagine. Dimenticando che Li Gotti è un militante storico del Movimento Sociale Italiano, esattamente come lei. E anche «un’altra circostanza cruciale: che la politica in questa storia non c’entra nulla. Io ho fatto quell’esposto da cittadino. Sdegnato da quanto era accaduto», dice lui oggi. Ovvero il mancato intervento del ministero della Giustizia che ha lasciato libero il torturatore libico e la decisione di riaccompagnarlo a casa con un volo dei servizi segreti.
Chi è Luigi Li Gotti
Li Gotti è nato a Mesoraca sui monti della Sila il 23 maggio del 1947. Ha cominciato a fare politica a Crotone negli Anni Sessanta, militando nelle organizzazioni giovanili del partito di Almirante. È stato eletto consigliere comunale del Msi dal 1972 al 1977. Nel 1998 ha lasciato Alleanza Nazionale e nel 2002 è entrato in Italia dei Valori, movimento fondato dall’ex giudice di Mani Pulite Antonio Di Pietro. È stato sottosegretario alla giustizia nel secondo governo Prodi. Rieletto senatore nel 2008, ha militato nel partito fino al 2013. E oggi a Repubblica spiega di aver fatto l’esposto perché era sdegnato dall’«aver liberato un signore che era accusato dalla Corte penale internazionale di tortura, assassinio, violenza sessuale, minaccia e lesioni a un numero imprecisato di vittime. Non mi sembra poco». Nell’esposto ha ipotizzato i reati di favoreggiamento e di peculato.
Favoreggiamento e peculato
«I giudici della Corte di appello di Roma scrivono chiaramente che hanno dovuto procedere alla scarcerazione di questo presunto assassino e torturatore libico per via del silenzio del ministro della Giustizia Carlo Nordio che in ben due occasioni non ha risposto alle sollecitazioni prima della polizia giudiziaria e poi direttamente della Corte. Se ci fosse stata un’interlocuzione, un pericoloso criminale non sarebbe potuto scappare dalle nostre prigioni», spiega lui oggi. Di più: perché il tutto «certamente è accaduto con i soldi dei contribuenti», visto che è stato usato il Falcon a disposizione della presidenza del consiglio dei ministri. Sposato, due figli e due nipoti, mattiniero («ogni giorno mi sveglio alle 3 e mezzo e mi metto a studiare»), Li Gotti dice al Corriere di aver avuto un moto di stizza quando ha visto che il governo si nascondeva dietro un cavillo.
Era già tutto organizzato
Perché, ricorda Li Gotti, «dicono che Almasri è stato espulso per motivi di sicurezza, perché scarcerato dalla Corte d’appello. Ma la Corte ha sollecitato il ministro. Ha cercato l’interlocuzione. Lui non ha risposto. È stato inerte. Ma era già tutto organizzato. E la prova è che nel frattempo un Falcon è stato mandato a Torino. Allora perché il ministro dice che stava consultando il fascicolo?». Li Gotti a 16 anni era presidente della Giovane Italia: «Ho fatto parte del consiglio nazionale del Fronte della gioventù. Ma parliamo degli anni Settanta. E poi io ero della corrente di Sinistra Nazionale che faceva capo a Filosa e poi a Nicolai che era socialista». Mentre Prodi «non l’ho mai incontrato» nonostante il posto da sottosegretario nel governo. Con la premier sono stati iscritti nel registro il ministro della Giustizia, il responsabile degli Interni Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano.
Vicino al Pd
Ora dice di sentirsi vicino al Pd. Ma assicura che la denuncia, «che non ho consegnato a Lo voi ma inviato via computer» non l’ha fatta per motivi politici. È vero che ha difeso Giovanni Brusca, Tommaso Buscetta e altri mafiosi, ma anche «tanti collaboratori di giustizia. E la famiglia Calabresi, la scorta di Moro e sono stato parte civile al processo di piazza Fontana». Sulla ragione della liberazione di Almasri «se temevano che la Libia spalancasse le celle dei migranti allora potevano fare come fecero per Abu Omar: opponevano il segreto di Stato. Ma la presa in giro, ecco, proprio no». In carriera, racconta Il Giornale, ha difeso anche i poliziotti del G8. Ed è «amico di Antonio Ingroia». A La Stampa l’avvocato dice anche che il governo poteva apporre il segreto di Stato: «Dicessero: “Noi non possiamo parlarne”. Invece non l’hanno fatto. Al contrario, Piantedosi presenterà un’informativa».
L’aereo di Stato
«La premier sa benissimo che non è così. Perché prima che la magistratura intervenisse, avevano già preparato un aereo?», risponde a chi gli fa notare che Almasri è stato scarcerato dalla Corte d’Appello di Roma. Dice che di difendere Francesco Marino Mannoia glielo chiese Giovanni Falcone: «E io per rispetto per me stesso, per la deontologia, dissi di sì. Poi arrivarono altri. Io difendo la persona, non il reato». Ora è tra i difensori dei familiari delle vittime di Cutro. «Con Almasri c’è la longa manus», dice. «Il generale gestiva le partenze. Questo dice la Corte penale internazionale. E a chi giova?», aggiunge. Perché «Trump espelle, il governo italiano ha mandato un boia per continuare a fare quello che ha fatto finora». Cioè? «Impedire le partenze per l’Italia».