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C’è qualcosa che non torna nell’ipotesi di un legame tra la cattura di Almasri e l’aumento degli sbarchi dalla Libia

30 Gennaio 2025 - 17:56 Alessandra Mancini
migranti-almasri-libia-sbarchi
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Per molti, l’esecutivo Meloni ha liberato il generale accusato di tortura dall'Aja sapendo che le partenze dalla Libia erano già aumentate e avrebbero potuto crescere. Ma il legame non è così scontato

A gennaio il numero dei migranti sbarcati sulle coste italiane è più che raddoppiato. Secondo i dati più aggiornati del ministero dell’Interno, dal 1° al 30 gennaio sono arrivate in Italia 3.368 persone, contro le 2.074 dello scorso anno e le 4.959 del 2023. La maggior parte degli sbarchi è avvenuta tra il 19 e il 27 gennaio, con picchi il 20 (494), il 24 (520) e il 26 (468). Le persone migranti che hanno raggiunto la Penisola in questi dieci giorni sono perlopiù bengalesi, pakistani, siriani. E quasi tutti sono partiti da Sabratha e Zuara, città della Libia nord-occidentale, punto di destinazione e di transito per i migranti. Quest’ultimo elemento ha fatto presupporre l’esistenza di un legame con l’incarcerazione del capo della polizia giudiziaria libica Njeem Osama Almasri Habish, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità dalla Cpi, la cui liberazione ha scatenato un caso politico e giudiziario fino all’iscrizione nel registro degli indagati per i vertici di governo. Secondo molti, infatti, l’esecutivo Meloni avrebbe temuto ritorsioni da parte libica, con un aumento pilotato della pressione migratoria, se il generale fosse stato consegnato alla Corte penale internazionale per rispondere dell’accusa di omicidio e tortura. Almasri è l’uomo di fiducia del ministro dell’attuale governo di Tripoli, nonché il capo della polizia giudiziaria libica. Ma guida anche da anni il distretto militare dell’aeroporto di Mitiga, a 5 km ad est della città di Tripoli, e alcune delle principali strutture di detenzione del paese, dove sono state documentate torture, violenze e più in generale violazioni dei diritti umani, ai danni dei prigionieri, com’è stato confermato anche ieri da tre vittime dei lager libici.

Cosa non torna?

Se da un lato il sospetto d’un uso strumentale delle partenze da parte libica, come scrive Grignetti su La Stampa, c’è eccome, dall’altra si tratta, per molti, di una valutazione troppo semplicistica. Soprattutto se si considerano – come arco di tempo di riferimento – pochissimi giorni. Facciamo un passo indietro: il torturatore libico della polizia tripolina e del centro di detenzione di Mitiga è stato arrestato a Torino il 19 gennaio; il giorno prima del suo arrivo in Italia, la Corte dell’Aja ha emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti; il 21 la Corte d’appello di Roma non convalida il fermo e lo stesso giorno Almasri viene rispedito in Libia a bordo di un volo speciale dei servizi segreti italiani. Sebbene ci sia stato un aumento del numero di sbarchi a partire dal 19 gennaio, giorno dell’arresto di Almasri, gli arrivi non si sono fermati neppure nei successivi dieci. E ciò è dimostrato dai dati del Viminale. Molti fattori, infatti, contribuiscono all’aumento delle partenze dal Nord Africa, che vanno dall’instabilità politica dell’area alle condizioni meteorologiche. Stando alle fonti consultate dalla Stampa, da alcune settimane ci sarebbero due tribù libiche che si sparano addosso. Questo – si legge – ha generato una fase di grande destabilizzazione sulla costa e in alcuni porti. L’analista indipendente Matteo Villa, di Ispi, ha inoltre mostrato su X come i trend di partenza dalla Libia siano in realtà costanti da anni e in ripresa da novembre scorso. Gli elementi da chiarire sul rilascio del torturatore libico sono ancora tanti, ma ciò che è evidente in tutta questa (triste) vicenda è l’ambiguità dei vertici di governo. Fonti qualificate assicurano che l’esecutivo non ha posto il segreto di Stato sul caso Almasri, e questo implica che i ministri potranno riferire in Parlamento. 

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