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Cpr in Albania, ancora una bocciatura: i giudici della Corte d’appello non convalidano il trattenimento dei migranti

31 Gennaio 2025 - 19:42 Alessandra Mancini
albania centri migranti non convalida trattenimento corte appello
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I magistrati hanno sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla corte di Giustizia Ue. Si tratta della terza liberazione collettiva dopo quelle avvenute nei due trasferimenti di ottobre e novembre

I giudici della Corte di appello di Roma non hanno convalidato il trattenimento dei 43 migranti, cittadini egiziani e del Bangladesh, rimasti nel centro albanese di Gjadër. E hanno deciso di rinviare gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Si tratta della terza liberazione collettiva, un altro schiaffo per il governo di Giorgia Meloni, dopo quelle avvenute nei due precedenti trasferimenti di ottobre e novembre scorsi. L’esecutivo – che a dicembre, con una norma, ha tolto la competenza ai giudici della sezione immigrazione per affidarla a quelli della Corte d’appello – confidava in una conferma della disposizione del trattenimento. Che, però, non è arrivata. Peraltro, alcuni dei magistrati chiamati a decidere sui trattenimenti sono gli stessi della sezione immigrazione, spostati per far fronte all’aumentato carico di lavoro. La decisione di oggi potrebbe contribuire a intensificare lo scontro tra l’esecutivo e la magistratura, già ai massimi livelli dopo l’iscrizione della premier nel registro degli indagati per il caso Almasri. Ora, i 43 migranti torneranno in Italia, dove avranno 14 giorni per presentare ricorso contro il rigetto della loro domanda d’asilo. Ieri, la commissione territoriale, in video-collegamento, ha infatti dichiarato «manifestamente infondate» tutte, tranne una, le richieste di protezione internazionale. 

Le motivazioni della Corte

I giudici hanno deciso di annullare il trattenimento disposto dal questione e rinviare gli atti alla Corte di Giustizia dell’Ue, com’era già accaduto nei casi precedenti, chiedendole di esprimersi sul concetto di «Paese sicuro». Quest’ultimo, stando alle motivazioni di oggi, dovrebbe riguardare sia «l’intero territorio», ma anche «categorie di persone». Per la Corte d’appello il decreto del governo Meloni, poi convertito in legge, con la lista degli Stati considerati sicuri «non menziona specifiche fonti di informazione sulla condizione dei paesi inseriti nella lista (…)», tra cui rientrano Egitto e Bangladesh. Per tale motivo, i magistrati si rifanno al «precedente decreto interministeriale del 7 maggio 2024». «Ebbene – si legge negli atti – dalle fonti ministeriali risulta che le condizioni di sicurezza del Bangladesh (Paese di provenienza della maggior parte dei migranti trattenuti in Albania, ndr) non sono rispettate per tutte le categorie di persone. In particolare, nelle schede utilizzate dal Governo nel mese di maggio di quest’anno per formare l’elenco dei paesi di origine sicuri, vi è un paragrafo dal titolo “Eventuali eccezioni per parti del territorio o per categorie di persone”, in cui sono indicate, per taluni paesi, alcune categorie di persone per le quali le condizioni di sicurezza non sussistono, e nella scheda utilizzata per il Bangladesh, nell’ambito di tale paragrafo, si ritengono necessarie eccezioni per gli appartenenti alla comunità LGBTQI+, le vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, le minoranze etniche e religiose, le persone accusate di crimini di natura politica e per i condannati a morte». In sintesi, i giudici chiedono alla Corte di Lussemburgo se il diritto dell’Unione europea debba esser interpretato in modo da riconoscere non sicuro un Paese in cui vi siano una o più categorie di persone discriminate, minacciate o perseguitate. Visto che in materia ci sono «contrasti interpretativi» tra il diritto europeo e quello italiano, i magistrati hanno formulato «un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea». L’organismo dovrebbe pronunciarsi su questo il prossimo 25 febbraio.

Giudizio sospeso

Per quanto riguarda invece il giudizio, quest’ultimo «va sospeso» poiché «per effetto della sospensione – scrivono i giudici – è impossibile osservare il termine di quarantotto ore previsto per la convalida, deve necessariamente essere disposta la liberazione del trattenuto, così come ha ripetutamente affermato la Corte Costituzionale in casi analoghi». È quindi «ovvio» per la Corte d’appello «con l’impossibilità di rispettare il termine, interviene un’autonoma causa di carenza di valido titolo di trattenimento, senza che questo determini l’esaurimento del procedimento di convalida, che rimane invece sospeso, persistendo l’interesse generale a una pronuncia sulla legittimità del trattenimento che ha determinato una privazione di libertà».

Le precedenti bocciature 

La prima pronuncia dei giudici della sezione immigrazione sui trattenimenti non convalidati risale al 18 ottobre e ha riguardato 12 richiedenti asilo bengalesi ed egiziani. I giudici, si legge nelle ordinanze simili tra loro, hanno negato la convalida per «l’impossibilità di riconoscere come “Paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia». La seconda decisione è invece arrivata l’11 novembre, e riguarda 7 persone. Rispetto al primo caso, il governo Meloni aveva nel frattempo emanato un decreto per definire la nuova lista di Paesi sicuri. Il provvedimento non è tuttavia servito a evitare un esito diverso rispetto alla prima pronuncia. I magistrati hanno infatti sospeso il giudizio sulla convalida del trattenimento rimettendo tutto nelle mani della Corte di giustizia europea. Ma la sostanza non è cambiata: i richiedenti asilo sono stati liberati. Nello stesso tempo, i giudici hanno chiesto alla Corte di Lussemburgo chiarimenti sulla compatibilità, definita «dubbia», del decreto del governo con le norme europee. Il 25 febbraio è attesa la pronuncia su questa materia da parte dell’organismo Ue.

Foto copertina: ANSA / Armand Mero | Il centro di prima accoglienza allestito a Shengyin in Albania, 11 ottobre 2024

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