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Le meteore di Sanremo: le dieci canzoni della storia del Festival che abbiamo amato e dimenticato

02 Febbraio 2025 - 09:37 Gabriele Fazio
Pitura Freska Sanremo 1997

1997 – Pitura Freska – Papa nero

Se oggi a qualcuno sembrano eccessive certe discussioni sul mondo del rap, se a qualcuno ancora rode per il secondo posto dello scorso anno di una canzone cantata in parte in dialetto napoletano, allora meglio che questi qualcuno non tornino con la memoria al 1997 quando la direzione artistica della 47esima edizione del Festival di Sanremo, in mano a Carla Vistarini, Pino Donaggio e Giorgio Moroder (conduceva Mike Bongiorno per l’undicesima e ultima volta nella sua vita), accetta la candidatura dei Pitura Freska e la loro Papa nero. Reggae in veneziano che si riferisce ad una profezia di Nostradamus sull’avvento di un Papa di colore, nel ritornello abbinato, come un presagio, alla vittoria a Miss Italia, anno 1996, di Denny Méndez, nativa di Santo Domingo. Il ritornello del pezzo recita: «Sarà vero? / Dopo Miss Italia, aver un papa nero? No me par vero / Un papa nero, che ‘scolta ‘e ‘me canson in venessian / perché el ‘se nero african» e forse, giusto per capirci, è meglio inserirlo nel contesto di un’Italia in cui si sta sempre più imponendo il «celodurismo» della Lega ei fu nord, così il paese si divise quasi equamente tra quelli che ancora non avevano digerito che la più donna eletta come la più bella d’Italia fosse nera, chi era inorridito dall’idea di un Papa di carnagione non chiara, come se sul palco dell’Ariston fosse stato lanciato un sonoro bestemmione, e chi era inorridito all’idea di ascoltare a Sanremo un brano in dialetto, anche se non era e non sarà l’ultima volta. Il pezzo, che in realtà era un satirico e godibilissimo inno anti-razzista, finì solo 16esimo, i Pitura Freska non avranno altri exploit pubblici e si scioglieranno pochi anni dopo. Il pezzo comunque rimane ancora oggi una bomba.