Liliana Segre e i neonazisti di Afd al potere in Germania: «Mostrerò il numero che ho tatuato sul braccio»
Liliana Segre è pronta a mostrare il numero che ha tatuato sul braccio ai neonazisti di Alternative Fur Deutschland. Nel giorno del suo intervento al Summit internazionale sui Diritti dei Bambini la senatrice a vita parla delle deportazioni di Donald Trump e della Germania al voto: «Vuole che le dica il mio pensiero, o vuole che le mostri il numero che ho tatuato sul braccio per la colpa di essere nata?», risponde a Domenico Agasso che la intervista per La Stampa.
Il numero sul braccio
Segre dice che è diventata da un mese e mezzo bisnonna: «La nascita di questa bisnipotina, oltre a darmi gioia e tenerezza, mi porta anche una preoccupazione ancora più grande per il futuro. Sono già nonna e il destino dei miei nipoti mi sta profondamente a cuore. Ma alla mia età, in un tempo così difficile, questa nuova nascita aggiunge un’ulteriore inquietudine. È difficile persino per me capire dove finisca la preoccupazione e dove inizi la gioia. La sorte dei bambini mi è sempre stata a cuore. Sono stata una bambina anch’io e non posso mai dimenticare quello che è successo a me bambina. L’esperienza personale ha segnato tutta la mia vita. Oggi ho 94 anni, eppure il peso di quella memoria non si affievolisce».
L’odio sui social
Mentre per l’odio sui social, dice Segre, «istintivamente devo darle una risposta estremamente pessimista: non c’è niente da fare. L’unica arma contro l’odio è l’amore. Bisogna dare molto amore. Se un bambino cresce sapendo di essere stato molto amato, avrà dentro di sé una corazza, uno scudo che lo accompagnerà per tutta la vita. Questo io lo devo ai miei genitori. È stato decisivo. Fa la differenza. Perché è dall’amore ricevuto che si impara chi si è e che cosa si vuole diventare. Poter dire “sono stato molto amato” dà una forza straordinaria. Glielo consiglio per i suoi figli: non faccia mai sentire che lei non c’è, faccia sempre sentire che c’è».
Donald Trump
Su Trump e le deportazioni Segre si sente di rispondere «partendo dalla mia esperienza personale, che non può prescindere da queste visioni di oggi. Io sono stata considerata “diversa” fin da bambina. Le leggi fasciste mi hanno impedito di andare a scuola, e nessuno si è preoccupato di me. Nessuno si è interessato quando sono stata imprigionata senza avere fatto nulla di male, ma solo per la colpa di essere nata. Nessuno si è mosso quando la mia famiglia è stata deportata e io sono tornata da sola. E nessuno si è preoccupato neanche al mio ritorno, di capire che cosa succede a uno che viene deportato in altro posto».
E ancora: «Oggi vedo “spettacoli” come le deportazioni di Trump; i respingimenti; campi in cui rinchiudere persone colpevoli solo di essere nate altrove. Vediamo decidere che persone in arrivo sono da rispedire indietro o da collocare in un altro piccolo lager in una città semi-sconosciuta di un’Albania non lontana. Ecco, davanti a tutto ciò non posso che ricordare personalmente che cosa vuol dire la sensazione, il dolore, di non essere voluti da nessuno. Oggi vedo la stessa indifferenza di allora, quel voler nascondere il problema».