Dall’Arabia Saudita all’Europa, tutti contro il piano di Trump su Gaza: «I palestinesi devono restare nella loro terra»
È stato accolto con un coro pressoché unanime di sdegno e incredulità la controversa proposta di Donald Trump sul futuro della Striscia di Gaza. Al termine dell’incontro di ieri, martedì 4 febbraio, alla Casa Bianca con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente americano ha svelato il suo piano per l’enclave palestinese, dove la stragrande maggioranza degli edifici è stata distrutta da quindici mesi di bombardamenti ininterrotti da parte dell’esercito dello Stato Ebraico. «I palestinesi devono lasciare Gaza e vivere in altri Paesi in pace», propone Trump. E ad assumere il controllo di Gaza, secondo il tycoon, dovrebbero essere proprio gli Stati Uniti, che possono ridare vita al territorio, e «portare stabilità al Medio Oriente».
Cosa prevede il piano di Trump per Gaza
Nei piani di Donald Trump, l’enclave palestinese ha tutte le carte in regola per diventare la «Riviera» del Medio Oriente. «La Striscia di Gaza ha un potenziale incredibile. Potrebbe diventare un luogo internazionale, in cui vivono rappresentanti da tutto il mondo e ovviamente anche i palestinesi», ha spiegato Trump in conferenza stampa. Per trasformare il piano in realtà c’è bisogno ovviamente di ricostruire le svariate migliaia di edifici distrutti dai bombardamenti. «L’unica ragione per cui i palestinesi vogliono tornare a Gaza è che non hanno alternative, ma ora è un cantiere di demolizione. Praticamente ogni edificio è crollato», ha insistito il presidente americano.
A guidare la ricostruzione di Gaza, nei piani di Trump, dovrebbero essere proprio gli Stati Uniti: «Saremo i proprietari [della Striscia – ndr] e saremo responsabili dello smantellamento di tutte le pericolose bombe inesplose e altre armi sul sito, livellare il sito e sbarazzarci degli edifici distrutti». Per realizzare questo piano, però, potrebbero volerci svariati anni. E in attesa di ricostruire tutti gli edifici, Trump propone di costringere i quasi 2 milioni di palestinesi che vivono a Gaza di spostarsi altrove. Più precisamente, nei due Paesi confinanti, ossia in Egitto e in Giordania, che però hanno già stroncato il piano di Trump.
Israele si sfrega le mani, i Paesi arabi fanno muro
L’unica reazione positiva alle parole del presidente americano arriva da Benjamin Netanyahu, che parla di un piano «che cambierà la storia». Con ogni probabilità, il premier israeliano spera di poter fare nella Striscia di Gaza ciò che già da diversi anni accade in Cisgiordania, ossia costruire insediamenti per i cittadini israeliani, nonostante le incessanti proteste e condanne delle Nazioni Unite. Con l’eccezione di Israele, tutti gli altri Stati mediorientali hanno bocciato senza mezzi termini il piano di Trump. A partire da Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, che respinge «fermamente gli appelli a impadronirsi della Striscia di Gaza e a trasferire i palestinesi dalla loro patria», e Hamas che parla di «dichiarazioni assurde e ridicole». A criticare la strategia della Casa Bianca è anche uno dei Paesi politicamente più “pesanti” per gli equilibri del Medio Oriente, ossia l’Arabia Saudita.
Gli Accordi di Abramo firmati nel 2020 proprio su spinta di Trump (e del genero Jared Kushner) hanno portato a una normalizzazione dei rapporti tra Emirati Arabi, Israele e Bahrain. Ma l’obiettivo ultimo era proprio quello di migliorare le relazioni diplomatiche tra Tel Aviv e Riad. Un processo, entrato in crisi dopo il 7 ottobre 2022, che ora rischia di subire una brusca battuta d’arresto proprio con il piano ideato da Trump per Gaza. «Non ci sarà alcuna normalizzazione delle relazioni con Israele senza la creazione di uno Stato palestinese indipendente», ha avvertito il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, Faisal bin Farhan Al Saud. «L’Arabia Saudita – ha scritto su X – continuerà i suoi incessanti sforzi per creare uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale, e non stabilirà relazioni diplomatiche con Israele senza tutto ciò». Pollice verso anche dai due Paesi che più sarebbero interessati dal trasferimento forzato dei palestinesi. Sia l’Egitto che la Giordania approvano l’idea di una «ricostruzione rapida» di Gaza, ma chiedono che i palestinesi restino nella propria terra.
Le reazioni in Europa al piano di Trump
Le voci più critiche in Europa nei confronti del piano di Trump per Gaza sono quelle di Madrid e Parigi. Secondo il ministero degli Esteri francese, l’avvenire della Striscia passa per «un futuro Stato palestinese» e non per il controllo «di un paese terzo». Parigi ribadisce quindi la sua contrarietà a qualsiasi trasferimento forzato della popolazione palestinese di Gaza, che – si legge in una nota ufficiale – rappresenterebbe una violazione grave del diritto internazionale e un attacco alle aspirazioni legittime dei palestinesi. Sulla stessa linea si muove anche il governo spagnolo: «Gaza è la terra dei palestinesi gazawi e questi devono continuare a restare a Gaza», dice senza mezzi termini José Manuel Albares, ministro degli Esteri della Spagna, uno dei pochi Paesi Ue che riconoscono ufficialmente lo Stato di Palestina.
Decisamente più cauta la posizione dell’Italia, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani che nelle prossime ore volerà proprio in Israele. «Mi pare che per quanto riguarda l’evacuazione della popolazione civile da Gaza la risposta di Giordania e di Egitto sia stata negativa, quindi mi pare che sia un po’ difficile» metterla in atto, dice il titolare Farnesina. «Io», prosegue Tajani, «ho detto qual è la posizione italiana, poi vedremo quando ci saranno delle proposte concrete, noi siamo per due popoli due Stati, ho detto che siamo addirittura pronti a inviare militari italiani per una missione di riunificazione di Gaza con la Cisgiordania. Il governo non ha cambiato idea».
A criticare il piano di Trump sono altri due importanti governi europei: Regno Unito e Germania. Per il primo è il ministro degli Esteri, David Lammy, a parlare: «I palestinesi devono poter vivere e prosperare» a Gaza in Cisgiordania, ha detto l’esponente del governo di Keir Starmer. Un messaggio molto simile arriva anche da Berlino. «La Striscia di Gaza appartiene ai palestinesi», ha affermato la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock. «La popolazione civile di Gaza – ha detto l’esponente dei Verdi – non deve essere espulsa e Gaza non deve essere occupata o ripopolata in modo permanente».
Un popolo segnato dalla diaspora
Il “trasferimento forzato” dalla Striscia di Gaza rischia di trasformarsi in un nuovo capitolo della diaspora del popolo palestinese, che già si trova costretto a vivere sparpagliato e spesso in campi profughi non solo in Medio Oriente ma in diverse aree del mondo. Si stima che nei territori palestinesi vivano circa 5 milioni di persone, di cui circa due milioni nella Striscia di Gaza e tre milioni in Cisgiordania. Lo Stato che ospita il maggior numero di cittadini palestinesi (circa 3,5 milioni) è la vicina Giordania, mentre un altro milione e mezzo vive in Israele, dove le organizzazioni non governative denunciano da tempo l’esistenza di politiche di aperta discriminazione da parte del governo di Tel Aviv. Gli altri Paesi che ospitano più cittadini palestinesi sono: Siria (675mila), Cile (500mila), Libano (455mila) e Arabia Saudita (374mila).
Foto copertina: EPA/Jim Lo Scalzo | Donald Trump e Benjamin Netanyahu durante una conferenza stampa congiunta alla Casa Bianca, 4 febbraio 2025