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«Vi spiego perché i palestinesi rischiano di fare la fine degli Indiani d’America»

07 Febbraio 2025 - 06:56 Alba Romano
donald trump gaza palestinesi
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Il premio Pulitzer Nathan Thrall: «Quello di Trump non è un piano. Ma da Gaza tanti vorrebbero andarsene»

Nathan Thrall: 45 anni, americano, ha vinto qualche mese fa il premio Pulitzer con il suo Un giorno nella vita di Abed Salama, cronaca di un incidente che nel 2012 alle porte di Gerusalemme coinvolse un autobus di bambini palestinesi. Oggi a Repubblica dice che il piano di Donald Trump su Gaza «non è un piano: non ci sono fasi o modalità già stabilite. Il che non significa che non possano esserci. E poi condannarlo come assurdo non fa i conti con la realtà: a Gaza ci sono moltissime persone che vorrebbero andare via se ne avessero la possibilità. Lo abbiamo visto durante la guerra, la gente che chiedeva di uscire era molta di più di quella che riusciva a uscire. Ho un amico malato che è potuto partire solo dopo mesi, e solo dopo aver pagato migliaia di dollari alla mafia egiziana. Come lui, sono in migliaia».

Spingere la popolazione fuori da Gaza

Secondo Thrall «se l’America ne avesse davvero l’intenzione, spingere una parte della popolazione fuori da Gaza non sarebbe impossibile. Ci sono Paesi pronti a prendersi i palestinesi. Quanti? Milioni no, ma 150 mila ciascuno sarebbe una soglia accettabile. Un quarto, forse la metà della popolazione andrebbe via in cambio di una casa e di sicurezza. Ma il punto per Israele non è questo». È invece lo svuotamento: «Trump ha promesso di svuotare la Striscia e Israele vuole la Striscia vuota. Questo non accadrà. L’uscita di una parte della popolazione non basterebbe». La politica israeliana, tutta o quasi, è d’accordo: «La destra di Netanyahu e l’ultradestra dei suoi alleati sono ovviamente felici. Ma hanno reagito positivamente anche il centro di Yair Lapid e di Benny Gantz, campioni dei liberal di Tel Aviv. Non solo, anche Yair Golan, che guida la sinistra, ha detto “Se fosse possibile sarebbe grandioso”. È abominevole».

Pulizia etnica

La conclusione è inevitabile: «Veniamo da anni di continua espansione dello spazio israeliano e di costante restringimento dello spazio palestinese. Una pulizia etnica lenta che va avanti da decenni e che dopo il 7 ottobre ha subito una fortissima accelerazione: Israele ha confiscato più terre palestinesi negli ultimi 16 mesi che negli ultimi 20 anni. L’unico contrappeso a questo processo è la giustizia internazionale, che però fa passi da formica a tempi da lumaca. La comunità internazionale si preoccupa di fermare l’annessione ufficiale, ma di fronte all’annessione di fatto è silenziosa. Non vedo il futuro dei palestinesi come molto diverso rispetto a quello degli indiani d’America negli Stati Uniti».

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