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Serbia in rivolta, parlano gli studenti che guidano le proteste: «Non ci fermeremo» – Le interviste

07 Febbraio 2025 - 08:42 Alessandra Mancini
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«Vogliamo sentirci sicuri per le strade, non temere che gli edifici ci crollino addosso a causa della corruzione, ci aspettiamo normalità, democrazia, indipendenza delle istituzioni, stato di diritto, meritocrazia e pluralismo», dicono i manifestanti a Open

Da oltre tre mesi la Serbia è paralizzata dalle proteste studentesche, le più grandi della sua storia post-jugoslava. Il 28 gennaio il premier Miloš Vučević ha rassegnato le dimissioni; il governo è così caduto, e si aspettano nuove nomine. «Il nuovo esecutivo dovrà essere formato entro il 19 o 20 marzo, in caso contrario le elezioni si terranno a inizio maggio», ha detto ieri, giovedì 6 febbraio, il presidente serbo Aleksandar Vučić alla tv pubblica Rts. A innescare le proteste è stato il crollo del 1° novembre di una pensilina nella stazione di Novi Sad, che ha causato la morte di 15 persone. Un incidente avvenuto poco dopo la fine dei lavori di ristrutturazione effettuati da un consorzio di aziende cinesi nell’ambito dello sviluppo della tratta ad alta velocità Budapest-Belgrado, nel più ampio progetto della cosiddetta Nuova Via della Seta, e causato «dall’incuria e dai mancati controlli legati alla persistente corruzione nelle alte sfere del governo», spiegano alcuni studenti serbi a Open.

I manifestanti «non hanno mai chiesto al governo di dimettersi», ma il crollo della tettoia nella seconda città della Serbia ha fatto da detonatore di una rabbia generalizzata e sopita da tempo. Anche nei confronti del sistema-Vučić, caratterizzato da una dilagante corruzione e dalla ricerca di opportunità economiche e politiche alternative a quelle offerte dall’integrazione europea. «Le proteste sono il risultato di anni di insoddisfazione provocata dal malfunzionamento delle istituzioni democratiche, dalla violazione dello stato di diritto, dagli alti livelli di corruzione e manipolazione dei media», ci dice la studentessa Aleksandra Kuzmanović. «Il sistema – precisa ancora – deve essere riformato a partire dalle sue fondamenta». Nei giorni scorsi, scrive il quotidiano indipendente serbo Danas, è stata istituita una commissione d’inchiesta composta da civili, un gruppo di professori ed esperti provenienti da vari settori, per fare luce sull’incidente e determinare le responsabilità. «Ci siamo auto-organizzati perché lo Stato non ci dà risposte», spiegano. 

Le «Blokade»

EPA/ANDREJ CUKIC | La protesta degli studenti universitari a Novi Sad

L’incidente nella stazione ferroviaria di Novi Sad ha dato il via a diverse forme di protesta: dalle manifestazioni nelle strade della Serbia, da Novi Sad a Belgrado fino a Niš, al blocco delle autostrade e dei ponti-chiave sul Danubio, dalle proteste silenziose di 15 minuti (uno per ciascuna delle vittime) fino alle cosiddette «blokade» delle università, dove studenti e professori hanno occupato circa sessanta delle ottanta facoltà della Serbia, interrompendo corsi e sessioni d’esame, tuttora fermi. Il movimento studentesco si è radunato attorno a quattro richieste: «La pubblicazione di tutti i documenti relativi ai lavori di ristrutturazione della stazione ferroviaria, l’archiviazione delle accuse contro studenti e manifestanti arrestati durante le proteste, l’incriminazione dei responsabili degli attacchi nei loro confronti e un aumento del 20 per cento degli stanziamenti per l’istruzione», ci spiega il plenum degli studenti della facoltà di Filologia di Belgrado raggiunti al telefono.

Il governo ha annunciato giovedì di aver disposto uno stanziamento aggiuntivo di 12,01 miliardi di dinari al bilancio per l’università e l’istruzione superiore (un euro vale 117 dinari), che per il 2025 ammonterà complessivamente a 72,06 miliardi di dinari. In tal modo, il bilancio verrebbe incrementato del 20%, così come richiesto dagli studenti. Questo non è, però, sufficiente a mettere un freno alle proteste. «Non smetteremo fino a quando tutte le nostre richieste non saranno soddisfatte», dicono gli universitari. «Tutti noi vogliamo la ripresa delle lezioni per poter dare gli esami e finire gli studi il prima possibile – spiega Aleksandra -. Tuttavia, in questo momento siamo consapevoli delle nostre responsabilità sociali. Alcuni valori e principi – afferma ancora – sono molto più importanti dei nostri interessi personali».

Dagli studenti a tutta la popolazione

EPA/ANDREJ CUKIC | Protesta Novi Sad, Serbia, 02 febbraio 2025

In pochissimo tempo la protesta si è allargata a macchia d’olio: a studenti e professori si sono aggiunte molte altre categorie di lavoratori, tra cui avvocati, ingegneri, agricoltori, artisti e pure pensionati. Che hanno interrotto temporaneamente le proprie attività e affollato le strade della Serbia. Nel primo weekend di febbraio migliaia di persone sono partite dalla capitale Belgrado e hanno raggiunto, dopo una marcia di 80 chilometri, il centro di Novi Sad. Persino il tennista serbo Novak Djokovic si è presentato al derby dell’Eurolega con una felpa con la scritta «Gli studenti sono i campioni». Il malcontento si è trasformato in una sorta di confronto intergenerazionale, più trasversale e partecipato, tra persone di età e ceti sociali differenti che condividono gli stessi malumori e le stesse piazze. Un’esperienza collettiva paragonabile soltanto alle proteste dell’inverno 96-97, che portarono alla caduta del presidente serbo Slobodan Milošević nell’ottobre del 2000. «È impossibile determinare la vera ragione dietro l’impressionante sostegno. Ciò che è certo è che la manifestazione non è ideologicamente affiliata, non sosteniamo e non siamo appoggiati da alcun partito politico, organizzazione o governo, nazionale o estero e non abbiamo un leader: decidiamo collettivamente i passi fare durante le assemblee. In questo modo, tutti i cittadini possono identificarsi – spiegano gli universitari di Filologia -. E poi le nostre richieste sono universali: è evidente che la causa del crollo della pensilina sia la corruzione, un problema che non può più essere ignorato da nessuno». Anche la tv di Stato, che si è sempre comportata da megafono del governo ignorando le proteste e definendo gli studenti «traditori» della Serbia o «burattini dell’opposizione», da alcuni giorni ha cambiato le sue modalità di racconto, mettendo le manifestazioni in cima ai notiziari.

L’integrazione europea non c’entra niente

EPA/ANDREJ CUKIC | Il presidente della Serbia Aleksandar Vučić

Le manifestazioni nel Paese dei Balcani, raccontano i manifestanti, non hanno nulla a che vedere con il processo di integrazione europea o con le proteste che nei mesi scorsi si sono verificate in altri Stati come la Georgia, nonostante siano anch’esse mosse da valori democratici e sebbene Bruxelles abbia chiesto un’indagine sulle aggressioni contro i manifestanti avvenute per mano dei sostenitori del partito di governo. È una questione tutta interna alla Serbia, contro un sistema che da molto tempo privilegia corruzione e criminalità anche per la sua sopravvivenza politica. «Noi siamo consapevoli di vivere in una società dove un diploma o una laurea non sono apprezzati, piuttosto lo sono la lealtà al partito di governo (il Partito Progressista Serbo che governa il paese dal 2012) o avere una tessera di una forza politica – afferma ancora Aleksandra – Viviamo in una Paese dove il crimine e la corruzione sono tollerati e dove i giudici e i pubblici ministeri vengono scelti in base alla lealtà al governo». È ciò contro cui combattono: «Vogliamo sentirci sicuri per le strade – continua -, non temere che gli edifici ci crollino addosso a causa della corruzione, ci aspettiamo normalità, democrazia, indipendenza delle istituzioni, stato di diritto, meritocrazia e pluralismo».

Vučić, il cui regime si è retto per oltre dieci anni su un controllo totale a livello politico e sociale, si è detto pronto a dialogare con i manifestanti. «Volete parlare con Slavica Djukic Dejanovic (ministra dell’Istruzione, ndr)? Bene, parlate con lei, ne sarò felice. Parlate con chi volete», ha affermato il presidente. «E se non volete dialogare, allora qual’è il vostro messaggio? Volete la radicalizzazione, volete lo scontro, volete forse qualcos’altro?». I vertici dell’università di Belgrado – scrivono i giornali locali – hanno respinto l’invito al negoziato, rafforzando la convinzione che la protesta sta assumendo sempre più i connotati di una contestazione contro tutto il sistema di potere messo in piedi dal presidente nazionalista. Ma si dovrà aspettare marzo per capire se la crisi di governo verrà risolta con un nuovo esecutivo basato su una solida maggioranza parlamentare o se si andrà a elezioni anticipate in primavera. Ma, intanto, le proteste non accennano a placarsi.

Foto copertina: ANSA / ANDREJ CUKIC | La protesta degli studenti a Novi Sad, Serbia, 01 February 2025

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