Ricerca, dopo due anni di stallo e un esposto all’Ue, il Cdm sblocca il contratto. I dottorandi: «Bene, ma no al ddl Bernini»
![bernini ricerca dottorandi](https://static.open.online/wp-content/uploads/2024/11/riforma-medicina-addio-test-ingresso-bernini.jpg)
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Si sblocca dopo oltre due anni l’approvazione del contratto di ricerca per i dottorandi, destinato a sostituire gli assegni di ricerca e a garantire maggiori tutele contrattuali ai ricercatori, vittime del precariato strutturale. L’annuncio arriva dalla ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, dopo il via libera dal Consiglio dei ministri. La riforma, introdotta dalla legge 79/2022, era rimasta ferma a causa del mancato accordo tra governo e sindacati e dell’assenza dell’approvazione tecnica del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Blocco che ha impedito alle università di bandire concorsi e attivare il nuovo contratto, lasciando i ricercatori in una situazione di precarietà.
Lo sblocco dopo l’esposto dei dottorandi
Il provvedimento è stato a lungo al centro delle richieste dell’Associazione Dottorandi Italia (Adi), che nei giorni scorsi ha presentato anche un esposto alla Commissione europea per denunciare l’impasse. «Siamo contenti che dopo due anni e mezzo, a seguito del nostro esposto, la situazione si sia sbloccata. Ora bisognerà attendere la valutazione della Corte dei Conti, ma l’aspetto positivo è che si è superato lo stallo governativo», dichiara a Open Davide Clementi, segretario nazionale dell’Associazione Dottorandi Italia. «Chiedo a tutti gli operatori della ricerca che mi hanno manifestato, pubblicamente e privatamente, le criticità legate alla disponibilità di una sola forma contrattuale e la necessità di introdurre soluzioni più flessibili e adeguate alle esigenze del settore di rendere nota questa posizione alla Commissione europea», commenta la ministra Bernini.
Verso l’assembla nazionale dei precari
L’approvazione della sequenza contrattuale rappresenta un passo avanti, ma restano ancora alcuni passaggi tecnici prima dell’entrata in vigore definitiva del contratto. La Corte dei Conti, infatti, dovrà dare il via libera finale. Tuttavia, l’ok del Consiglio dei ministri segna una svolta attesa da migliaia di giovani ricercatori in tutta Italia da anni. L’annuncio arriva dopo mesi di proteste dei ricercatori e alla vigilia della più grande mobilitazione accademica organizzata dai dottorandi.
L’8 e il 9 febbraio, dottorandi, ricercatori e personale universitario si riuniranno in un’assemblea nazionale all’Università di Bologna con un obiettivo comune: creare un fronte compatto contro la riforma dei ricercatori Bernini, contenuta nel disegno di legge 1240, che – secondo i promotori della protesta – non fa che «accentuare la precarizzazione della carriera accademica». Da mesi, le manifestazioni si sono moltiplicate in tutta Italia, coinvolgendo atenei da nord a sud: Bologna, Milano, Firenze, Genova, Napoli, Padova, Palermo, Pisa, Roma, Siena e Torino. L’assemblea di Bologna punta quindi a dare voce a questa protesta diffusa, unendo le diverse mobilitazioni. Tra i partecipanti ci sarà anche l’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia, protagonista dell’esposto alla Commissione europea.
Il Ddl Bernini: cosa prevede e perché non piace ai dottorandi
Il disegno di legge Bernini contro cui si scagliano i ricercatori introduce nuove forme di impiego nella ricerca accademica, sostituendo gli assegni di ricerca con due nuove borse di assistenza alla ricerca: «Junior» per laureati magistrali o a ciclo unico e «Senior» per dottori di ricerca. Entrambe avranno una durata tra uno e tre anni e saranno incompatibili con altri contratti di lavoro pubblico o privato. Viene inoltre istituito il contratto postdoc, riservato ai dottori di ricerca, con una retribuzione equiparabile a quella dei ricercatori a tempo definito, della durata tra uno e tre anni.
Un’altra novità considerata controversa è la creazione della figura del professore aggiunto, un incarico esterno assegnato direttamente dai Consigli di amministrazione degli atenei, senza una valutazione accademica formale, con contratti da tre mesi a tre anni. Questo aspetto ha sollevato critiche per il rischio di mancanza di trasparenza nella selezione e non solo. «Il ddl introduce, di fatto, nuove figure contrattuali ancora una volta precarie, alcune delle quali con contratti minimi di tre mesi. Il rischio è che si perpetui una condizione di precarietà», è il parere di Clementi.
Ricercatori a tempo determinato: «Serve un piano straordinario per stabilizzarci»
Anche Arted, l’Associazione dei Ricercatori a Tempo Determinato, prenderà parte all’assemblea nazionale dei precari. «Chiediamo al governo di prevedere un piano straordinario per stabilizzare i ricercatori a tempo determinato. Non è solo una questione di contratti: il problema è che si sta smantellando l’università pubblica, e i ricercatori precari ne stanno pagando il prezzo più alto», commenta a Open il presidente Federico Saviotti. E le ricadute, sottolinea, sono su più fronti: «Il precariato non crea solo difficoltà economiche, ma genera anche un forte stress psicologico: lavorare sapendo di non avere alcuna certezza sul domani è logorante. A tutto ciò si aggiungono le conseguenze pratiche della precarietà, come l’impossibilità di ottenere un mutuo per acquistare una casa. È il destino di chi, pur svolgendo un lavoro essenziale, non ha un contratto stabile», conclude.