Spese militari, la caccia al tesoro Ue di Giorgetti: «Emergenza come ai tempi del Covid, ecco dove trovare le risorse»
![](https://static.open.online/wp-content/uploads/2025/02/Giorgetti-Italia.jpg)
![](https://static.open.online/wp-content/uploads/2025/02/Giorgetti-Italia.jpg)
Vladimir Putin da una parte, Donald Trump dall’altra. La tenaglia che stringe l’Europa – da un lato la guerra sul fronte ucraino, dall’altro la minaccia di disimpegno americano – rappresenta una situazione di «grave» emergenza, non dissimile da quella che ormai cinque anni fa colpì il continente sotto altra forma: quella del Covid-19. È la considerazione che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti condivide oggi con il Financial Times: non una riflessione «scolastica», ma funzionale a indicare i cambiamenti di policy necessari. All’esplosione dell’emergenza pandemica, ricorda Giorgetti, l’Ue reagì – sul piano economico – sospendendo le regole fiscali, perché la situazione era, appunto, «eccezionale». I Paesi dell’Eurozona vennero “liberati” dalla gabbia di spesa del Patto di stabilità, così da poter usare il loro bazooka di risorse pubbliche per scongiurare il tracollo delle economie. E oggi? Oggi l’emergenza riguarda il settore della difesa, con l’Europa in serio ritardo sui competitor che minacciano di aggredirla o di lasciarla senza protezioni. E se «in tempi straordinari servono strumenti straordinari», come ha detto pochi giorni fa Ursula von der Leyen, dice Giorgetti, l’Ue deve passare dalle parole ai fatti. «Dobbiamo essere realistici e la realtà è che abbiamo una guerra in Europa: dobbiamo prendere decisioni politiche che tengano conta di questa realtà».
Patto chiaro, amicizia lunga
Ma a che tipo di supporto «straordinario» pensa esattamente Giorgetti? Il governo italiano, come è chiaro dalle dichiarazioni del ministro che si aggiungono a quelle dei giorni scorsi del capo degli Esteri Antonio Tajani, lavora su una gamma di diverse soluzioni possibili. Non è detto che l’una escluda l’altra. Una strada, richiamata più volte nei mesi scorsi anche da Meloni e Crosetto, è quella dello scorporo delle spese per la difesa dal nuovo Patto di Stabilità, ormai pienamente in vigore. È su questo che si è concentrato il senso dell’apertura di lunedì scorso di von der Leyen: si capirà nelle prossime settimane se dietro l’uscita della presidente della Commissione Ue c’è l’effettivo e compatto sostegno dei 27 – Paesi frugali compresi. Ma Giorgetti sul Patto pare alludere pure a qualcosa in più, quando evoca il paragone col 202′, quando il quadro di governance fiscale fu addirittura sospeso. «Se tutti i Paesi lo considerano strategico e cruciale per il futuro d’Europa (l’aumento degli investimenti in difesa, ndr), l’Ue deve muoversi in questa direzione», manda a dire il ministro dell’Economia all’Ft.
Risorse fresche e comuni
Anche se arriveranno davvero concessioni su questo fronte nei prossimi mesi (decisioni concrete sono attese entro giugno, sulla base del Libro Bianco che la Commissione presenterà a marzo), resta il problema per l’Italia e per gli altri Paesi “in arretrato” sugli investimenti in difesa della sostenibilità del debito. Già perché, come notavano esperti consultati da Open nei giorni scorsi, gli spazi di manovra nazionale consentiti dall’Ue non eviterebbero comunque a quei governi l’ulteriore indebitamento, coi rischi del caso sul fronte dei mercati e delle agenzie di rating. Per questo l’Italia guida il fronte dei Paesi “all’assalto” del fortino Ue anche in altre direzioni. Un’idea sul tavolo da tempo è quella degli Eurobond, ossia dell’emissione di debito comune Ue per finanziare spese nel settore difesa – sulla scorta del modello di Next Generation EU. Sul piano restano tenaci resistenze di diversi Paesi, Germania in testa. Nulla vieta di pensare ad altre strade, dunque. Ad esempio lo stanziamento di risorse comuni supplementari nel prossimo bilancio pluriennale Ue (si apre nel 2027, i negoziati sono già partiti). Con quello strumento “strutturale”, ricorda Giorgetti, «l’Europa ha tradizionalmente finanziato l’agricoltura, la coesione, la pesca. Se ora decide che è importante, deve finanziare la difesa». Senza dimenticare la possibilità di coinvolgere in maggiori investimenti – specialmente per lo sviluppo tecnologico di nuovi sistemi d’arma – della Banca europea degli investimenti (Bei).
La scommessa di Giorgetti e l’asse Meloni-Trump
Le opzioni sul tavolo per dar corpo a «una politica comune europea per finanziare le spese per la difesa» insomma sono tante. L’essenziale è agire, con urgenza e determinazione. Dopo il Consiglio europeo informale di lunedì scorso, e dai segnali che capta dai colleghi degli altri 26 Stati membri, Giorgetti però è ottimista: «Le considerazioni politiche stanno evolvendo», assicura. Tra una manciata di settimane, con un nuovo governo tedesco in carica, l’Italia spera di poter passare dalle parole ai fatti. Anche per evitare a Giorgia Meloni imbarazzi col grande alleato americano Donald Trump (che ha chiesto ai Paesi Nato uno sforzo titanico del 5% del Pil in difesa), che la premier conta di andare a trovare – questa volta in visita ufficiale alla Casa Bianca – presto, forse già il prossimo mese.
In copertina: Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in una conferenza stampa a Palazzo Chigi (ANSA/ANGELO CARCONI)