Luca Barbarossa, la vittoria a Sanremo e quella volta che Maradona venne a un suo concerto: «Una follia collettiva»
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Luca Barbarossa arrivò 18esimo al Festival di Sanremo 1986 con Via Margutta. «La canzone nasce da un fatto vero: mio nonno, durante la seconda guerra mondiale, fece rifugiare in una soffitta di via Margutta un bambino ebreo, salvandogli la vita durante i rastrellamenti. Qui abitavano artisti e poeti, come oggi». Come fece a nasconderlo? «Lo fece rifugiare in una intercapedine, tra le tele di dipinti. Quando, molti anni dopo, tornai qui feci una riflessione: io da bambino avevo giocato sotto lo stesso cielo dei bombardamenti, dei pittori dei giovani poeti e dei loro amori . Nacque così l’ispirazione del brano», dice oggi in un’intervista al Corriere della Sera.
Il bambino ebreo
Il nonno «lo fece rifugiare in una intercapedine, tra le tele di dipinti. Quando, molti anni dopo, tornai qui feci una riflessione: io da bambino avevo giocato sotto lo stesso cielo dei bombardamenti, dei pittori dei giovani poeti e dei loro amori . Nacque così l’ispirazione del brano». Lui «Eera il barbiere di via della Croce, romanista, detto Forbicetta d’oro. Il problema era che aveva un caro amico, Otello, laziale incallito. Otello faceva l’oste. Quando vinceva la Roma, Otello era costretto a fare il garzone nella bottega del nonno e quando vinceva la Lazio mio nonno andava a servire ai tavoli nell’osteria dell’amico».
Lui aveva una predilezione per Claudio panatta: «Aveva una decina di anni più di me ma era il mio idolo. Io ero un infiltrato mezzo nascosto dietro le quinte. Me lo ritrovai davanti. Presi fiato, stavo per fargli la domanda della vita, ma lui mi guardò e mi liquidò con un “’a ragazzì, che stai a ‘ffa, vedi d’annattene”, disse scherzando. Ma avevo già capito che non sarei mai diventato Panatta. Così con Mario Amici cominciammo a suonare per strada: Bob Dylan, i Beatles».
Antonello Venditti
Ricorda come ha conosciuto Venditti: «Antonello è più grande di me, ma le racconto questa: quando mi dividevo ancora tra il tennis, i ristoranti e le esibizioni per strada, mi chiamò un amico: “Guarda che Venditti sta preparando il lancio del suo disco fuori Roma, perché non vieni a guadagnarti la serata?”. E così feci il cameriere per Venditti, servendo al tavolo dove stavano lui, Gato Barbieri e gli altri produttori: 30mila lire di compenso, era il 1979». Poi ci ha lavorato: «Dunque, Antonello aveva lanciato il grande successo Roma Capoccia, una dichiarazione d’amore alla città. Io nel 1981 vengo invitato a Castrocaro. Porto allora una canzone, Roma spogliata, che nelle mie intenzioni doveva essere una risposta polemica a Venditti, il racconto di una città molto più problematica di quella che aveva cantato lui». A quel punto proprio con Venditti «ci ritrovammo a incidere nello stesso studio e una sera lui venne da me. “Aho, bella ‘sta canzone”, mi disse, mentre io strabuzzavo gli occhi. E aggiunse: “Posso incidere io le parti al pianoforte?”».
Portami a ballare
Rievoca la vittoria del 1992 con Portami a ballare: «Macché, no, anche perché io volevo portare un brano più impegnato, Cuore d’acciaio. Per fortuna che Morandi e Dalla mi presero da parte e mi dissero: “E togliti la puzza sotto al naso, forza”». Ha imparato a suonare «da solo, mai frequentato scuole. La mia generazione è stata fortunata perché è stata l’ultima ad aver conosciuto la noia. Nei lunghi giorni senza scuola, magari in vacanza, che cosa potevi fare? Magari imparare a suonare. C’era più tempo, c’era più dedizione».
Maradona
Poi racconta di quando Diego Armando Maradona venne a un suo concerto: «Io sapevo che Diego apprezzava alcune mie canzoni, però in quegli anni per lui era impossibile anche solo fare un pezzo di strada a Napoli: la folla impazziva, davvero rischiava di farsi male per l’affetto dei tifosi. Così quella sera tutto era pronto alle Terme di Agnano, quando lo staff di Maradona ci disse che lui avrebbe avuto piacere di partecipare. “E dove lo mettiamo?”, fu la mia domanda piena di gioia, ma anche di sgomento: l’ordine pubblico nei concerti è una cosa seria. Il mio manager allora ebbe un’idea: letteralmente lo nascondemmo dietro l’impianto audio, in modo che nessuno potesse vederlo. Solo alla fine, sulle note di Roma Spogliata, lo chiamai sul palco a duettare con me. Le lascio immaginare la reazione del pubblico: una follia collettiva».