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Farmaci per dormire, l’insonnia e i rischi nell’uso dei sonniferi che bloccano la “pulizia” del cervello. Cosa dicono le ricerche

10 Febbraio 2025 - 14:10 Gemma Argento
Più di 10 milioni le persone nel nostro Paese che soffrono di insonnia. Il nuovo studio pubblicato su Cell indaga gli effetti di sedativi e ansiolitici sul sistema di difesa dell’encefalo: diminuisce la capacità di scartare tossine legate a Parkinson e Alzheimer

Per oltre 12 milioni di italiani l’insonnia è un grosso problema da risolvere. Qualità e quantità di sonno compromesse condizionano aspetti determinanti della quotidianità oltre, nei casi cronici, alle sempre più logorate condizioni di salute. Per evitare la forte stanchezza diurna, l’irritabilità, le importanti difficoltà di concentrazione e di apprendimento, la parziale perdita della memoria nei casi più gravi, la soluzione a cui si ricorre è l’utilizzo sistematico di sonniferi, tranquillanti, ansiolitici, farmaci sedativi- ipnotici. 

Con la speranza di godere di un po’ riposo si assumono sempre di più le cosiddette benzodiazepine, farmaci dotati di proprietà ipnotiche, sedative, ansiolitiche, anticonvulsivanti e anestetiche che aumentando la quantità di riposo totale, potenziano anche le fasi 3 e 4 del sonno, quelle riconosciute come più profonde.  Efficaci per la risoluzione del problema principale però, l’uso sistematico di farmaci per dormire è in grado di comportare serie conseguenze per alcuni fondamentali meccanismi del nostro cervello. A spiegarlo è l’ultimo studio pubblicato su Cell: i più comuni farmaci per il sonno hanno la capacità di interferire in quel processo naturale di pulizia cerebrale conosciuto come sistema glinfatico. Indispensabile per eliminare tossine e scorie dannose, avviene proprio durante il riposo notturno. 

Proteine tossiche, il ruolo centrale del sonno 

Per capire il peso del possibile condizionamento sul cervello da parte dei sonniferi, è bene conoscere meglio il funzionamento del cosiddetto sistema glinfatico. Per il nostro organismo siamo forse più abituati a sentir parlare di sistema linfatico, e cioè di quel meccanismo che ha, tra le altre cose, il compito di espellere fluidi e prodotti di scarto dai nostri tessuti: opponendosi all’eccessivo accumulo è considerato uno dei principali baluardi di difesa del nostro corpo. 

Allo stesso modo, il sistema glinfatico opera un’attività di protezione da scarti e tossine sull’encefalo: attraverso un proprio sistema di drenaggio, è in grado durante il sonno di smaltire i prodotti di scarto delle proteine. Si tratta di un sistema che presenta un proprio tipico deterioramento con il passare degli anni e che anche per questo va protetto e mantenuto il più possibile in attività. Il fine è quello di evitare l’accumulo di proteine tossiche, come per esempio la beta-amiloide, la cui eccessiva presenza è legata alla comparsa dell’Alzhemeir. 

Come funziona il sistema glinfatico? 

Un liquido chiamato “cerebrospinale” è al centro del funzionamento del sistema glinfatico: esso fluisce e scorre all’interno di canali che circondano i vasi sanguigni cerebrali spazzando via tutte le scorie. Nel processo di pulizia, il sonno ricopre un ruolo importante in quanto regola proprio il movimento dei liquidi nel sistema nervoso centrale. Senza un funzionamento adeguato dell’eliminazione di rifiuti e scarti può quindi verificarsi l’accumulo di tossine associate anche a serie malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer.

Rischi per la salute in cambio di un sonno ristoratore

Tra le varie fasi del sonno, esiste anche quella detta “a onde lente” o “non REM”. Un momento in cui gli scienziati hanno rilevato come il come il flusso del liquido cerebrospinale, di cui abbiamo parlato sopra, aumenti fino al 60%, migliorando così la capacità del cervello di eliminare le scorie. Il recente studio pubblicato su Cell ha evidenziato come per esempio lo zolpidem, uno dei sonniferi più utilizzati e prescritti dagli stessi medici, agisca in modo diretto sulle oscillazioni della norepinefrina: un neurotrasmettitore importantissimo che ha la capacità di indurre i vasi sanguigni a contrarsi e a trasmettere così il movimento al sistema glinfatico. Da questa stimolazione parte il flusso delle sostanze di scarto all’interno del liquido cerebrospinale. Il documento descrive una diminuzione del movimento indotto dalla norepinefrina pari al 50%. Con una conseguente riduzione anche nell’eliminazione di tossine pericolose del 30%. 

«Una distinzione chiave tra il sonno naturale e farmacologicamente supportato è che una maggiore trasmissione inibitoria del sonno altera notevolmente la sua microarchitettura del sonno», spiegano gli scienziati, «probabilmente attraverso la soppressione diretta di uno dei principali nuclei del sistema centrale nervoso». E ancora: «Ciò suggerisce che è improbabile che gli aiuti al sonno come zolpidem migliorino la funzione del sistema glinfatico, allineandosi all’idea generale sul fatto che questi farmaci presentino notevoli effetti avversi e sono associati ad un aumento del rischio mortalità».

La sfida per la ricerca 

A proposito dei rischi, i ricercatori riassumono quanto scoperto avvertendo su come l’effetto dei sonniferi sul sistema di pulizia cerebrale possa comportare a lungo termine una serie implicazioni per la salute neurologica con l’aumento di rischi per la contrazione di malattie neurodegenerative. Da qui la sfida per il futuro con nuovi farmaci che possano da un lato migliorare la quantità e la qualità del sonno e dall’altro evitare di alternarne la microstruttura. «Obiettivo importante per gli studi futuri sarà quello di confermare quanto scoperto e continuare a indagare su come il sonno alterato e la fragilità vascolare provocata dai farmaci influenzino la cerebrale negli stati di invecchiamento e malattia», conclude il team di ricercatori. 

Foto in evidenza, Pixabay

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