Egea Haffner, la bambina della foto che ha fatto piangere Giorgia Meloni
![egea haffner lacrime giorgia meloni](https://static.open.online/wp-content/uploads/2025/02/egea-haffner-lacrime-giorgia-meloni.jpg)
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Ieri durante le celebrazioni per le foibe Giorgia Meloni ha versato qualche lacrima. È successo mentre parlava Egea Haffner. Ovvero la “bambina con la valigia” la cui fotografia è diventata un simbolo dell’esodo istriano. Lei oggi ha 83 anni, all’epoca ne aveva 4 e mezzo. E con La Stampa ricorda il momento in cui le hanno scattato quella foto: «Era il 6 luglio 1946. Avevo indossato il vestito della domenica, mi avevano fatto i boccoli e zio Alfonso mi aveva consegnato la famosa valigetta con su scritto: 30.001. Pola, la mia città, contava 30mila abitanti. Zio Alfonso aveva già capito che saremmo andati via tutti da quel luogo. Quell’immagine sintetizza il dramma di tutti gli esuli hanno pagato sulla propria pelle le conseguenze della guerra e dei trattati di pace».
La foto che ha fatto commuovere Meloni
Con Grazia Longo Egea Haffner ricorda che «è il terzo anno che accolgo l’invito del presidente Mattarella al Quirinale. Ritengo sia stato importante parlare davanti a tanti ministri, a tanti politici sia di destra sia di sinistra perché tutti devono ricordare la tragedia che abbiamo vissuto. Persone come me sono tra gli ultimi testimoni di quel travagliato periodo della nostra storia». E segnala che «non è vero che tutte le vittime della polizia militare di Tito fossero fascisti. Si è detto che gli italiani delle terre giuliane erano tutti fascisti. Ma non è affatto vero. Lo stesso mio padre non era fascista, è stato prelevato da casa una sera all’improvviso e poi ucciso solo perché parlando il tedesco ogni tanto veniva chiamato dal comando tedesco per fare da interprete. Ma non era mai stato fascista, non aveva mai avuto la tessera fascista. Purtroppo è stato inghiottito dalla storia e forse dalle foibe come molti, troppi italiani».
Il padre
La donna racconta che il padre fu prelevato la sera del 4 maggio 1945: «Bussarono alla porta, tre colpi secchi. Mamma stava cucinando. Altri tre colpi e si decise ad aprire. “Dov’è Kurt Haffner?” chiesero. “Sono qui”, disse mio padre. “Ci deve seguire al comando. Solo un controllo”. Mio padre mise al collo una sciarpa di seta blu a quadrettini ed uscì. Sento ancora dentro di me il profumo della sua acqua di colonia. Non lo abbiamo mai più rivisto, non sappiamo come sia stato ucciso e se sia finito in una foiba. Ma qualche giorno dopo vedemmo la sua sciarpa al collo di un Titino e per noi fu la fine».