«L’Isis è tornato, la nuova base è in Somalia». L’allarme Usa e il timore di nuovi attentati
È sabato 1 febbraio quando un bombardamento colpisce il nord della Somalia, nel Corno d’Africa. Si tratta del primo raid ordinato dal presidente americano Donald Trump da quando è rientrato alla Casa Bianca. Obiettivo dei caccia di Africom, il comando americano in Africa, era una cellula responsabile della pianificazione di attacchi terroristici, anche al di là dei confini somali. Il gruppo armato di riferimento era l’Isis. Secondo un’inchiesta del Washington Post, lo Stato Islamico avrebbe scelto in effetti proprio la Somalia – e in particolare la regione semiautonoma del Puntland – come base strategica per coordinare tutte le sue operazioni globali. Da qui partono finanziamenti diretti in Medio Oriente, in Turchia e in altri Paesi africani al solo scopo di mietere vittime.
Il reclutamento forzato e la ricerca di uomini specializzati
Dagli Stati Uniti sono sicuri: il Puntland è il nuovo fronte di guerra contro il terrorismo. Secondo le stime dell’Africom, ci sarebbero oltre mille miliziani dell’Isis distribuiti nella regione che si distende proprio sulla punta orientale dell’Africa. Gran parte di questi sono stranieri e sarebbero stati reclutati con l’inganno e la forza: le promesse di lavoro e di un futuro migliore si sono trasformate presto in minacce e costrizioni da parte di uomini armati. «Ci usavano come schiavi, scavando grotte e portando acqua», ha raccontando al Washington Post un ex miliziano. «Ci parlavano di jihad, ma il più delle volte eravamo troppo stanchi per ascoltare». Molti sono stati rastrellati nelle prime ondate di reclutamento. Altri, in particolare di nazionalità marocchina, sono il frutto di una ricerca mirata online per trovare specialisti di esplosivi ed elettronica. Sul corpo di un attentatore, ad esempio, sono state trovate numerose schede SIM, tra cui una di un telefono satellitare, e numeri omaniti e sauditi.
L’Isis in Somalia: dalle origini in al-Qaeda all’attentato suicida di Capodanno
L’Isis somalo nasce come costola del gruppo al-Shabab, cellula terroristica legata ad al-Qaeda. Alla separazione, datata 2015, è succeduto un periodo di crescita esponenziale per i ranghi dello Stato Islamico sotto la guida di Abdulqadir Mumin, leader locale e ora califfo globale dell’Isis. Gli obiettivi sono chiari: il controllo del territorio è solo un punto di appoggio per mirare a diventare un vero e proprio hub del terrorismo internazionale. Ai milioni di dollari estorti alle attività locali si sommano altri milioni, che arrivano in Somalia soprattutto da Iraq e Siria. Dal Puntland, poi, sono smistati in decine di Paesi per finanziare attacchi e per ammodernare l’armeria delle varie cellule islamiche con droni suicidi da 9mila dollari, visori notturni e fucili da cecchino. La notte di Capodanno, ad esempio, 12 attentatori suicidi si sono fatti esplodere nei pressi degli alloggi militari della città di Dharjaale: «Abbiamo trovato solo le ossa dei nostri commilitoni», ha raccontato un soldato. Nessuno degli attentatori era somalo.
La battaglia contro l’Isis e il ruolo dei civili armati
A combattere contro i ranghi dello Stato Islamico c’è solo l’esercito della regione. «Stiamo combattendo una guerra globale da soli», sostiene Mohamed Mubarak, a capo dell’ufficio di coordinamento della sicurezza del Puntland. A fronte di numerosi attacchi terroristici – l’ultimo dei quali proprio la mattina di martedì 11 febbraio – che hanno mietuto migliaia di vittime tra soldati (anche americani) e civili. Al momento le forze del Puntland hanno riconquistato 50 avamposti e piccoli basi, uccidendo oltre 130 miliziani islamici nelle ultime due controffensive. Ma il sostegno manca. Per una questione interna, essendo la Somalia uno Paese fratturato internamente. E per motivi esterni, con l’arrivo di Trump nella Casa Bianca e tutte le incognite che il cambio di passo americano ha portato con sé. In particolare, mettendo in pausa i colloqui tra Garoowe, capitale della regione, e Washington. Nel frattempo, oltre ai soldati, spesso anche i civili imbracciano le armi. Con ovvie conseguenze sul bilancio delle vittime.