La storia di Luigina Brustolin, che è morta a 60 anni ma ne ha vissuti solo 27
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Luigina Brustolin è morta venerdì 7 febbraio. Per le complicazioni di una polmonite. Aveva 60 anni. Ma in realtà di anni ne ha vissuti soltanto 27. Perché per 33 primavere è rimasta imprigionata nel suo corpo. In coma irreversibile dopo un incidente stradale il 23 maggio del 1992. Con lei in auto c’era la figlia di due anni, deceduta dopo 35 giorni in ospedale. Lei invece è rimasta sospesa tra la vita e la morte a causa di un grave trauma cranico. Dopo il ricovero in ospedale per 17 anni l’aveva accudita la madre Maria. Poi, dopo la morte di quest’ultima, era finita al centro servizi opere pie di Onigo e, il primo febbraio (giorno del suo compleanno) al San Camillo di Treviso. Dove è spirata.
Vivere è respirare?
«Anche la sera prima che morisse le ho detto: cavoli, Luigina, sei qui che stai male eppure sei così bella, non hai una ruga», dice la sorella Mara al Corriere della Sera. Trentatré anni prima Luigina Brustolin guidava la sua Golf sulla strada che collega Treviso a Feltre. In auto con lei c’era Sara. All’altezza di Pederobba la Golf si schianta contro un’auto che arriva dalla parte opposta. «All’inizio il coma era profondo, sì, ma poi è diventato vigile», racconta suo fratello Loris. «Luigina respirava autonomamente e, salvo gli ultimi tempi quando è peggiorata per le ricadute della polmonite, riusciva anche a mandar giù il cibo se qualcuno la imboccava. Ogni tanto apriva gli occhi e ci guardava ma non abbiamo mai saputo se quel guardarci era vero o se era una nostra interpretazione, un riflesso. In quelle condizioni nessun medico si spinge a dirti che c’è un contatto, che lei capisce…».
«Ogni tanto apriva gli occhi»
Luigina lavorava al Calzaturificio Aifos di Colbertaldo come operaia addetta alla produzione. Era nata a Colbertaldo e viveva proprio a Pederobba nella località di Covolo. Aveva sposato Franco Reghin, il padre di Sara. «Il sabato e la domenica la portavo a casa mia: per i miei bambini, che erano piccoli, era semplicemente zia Luigina. L’ultima volta, le ho fatto visita un mese fa», ha ricordato con il Gazzettino il marito, che nel frattempo si è rifatto una vita «anche se a qualcuno non andava bene». E ancora: «Ho fatto quello che mi sono sentito di fare; ricordo quando sono riuscito a farla deglutire, evitando così, per anni, il sondino gastrico. Io sono contro l’accanimento terapeutico. Non era, però, il suo caso, dato che respirava autonomamente». «Le erano venuti i capelli bianchi e il suo corpo negli anni era cambiato, lei aveva comunque la pelle liscia di una ragazzina», ricorda ancora la sorella Mara.
Coma profondo e vigile
«All’inizio il coma era profondo, sì, ma poi è diventato vigile», dice invece suo fratello Loris. «Luigina respirava autonomamente e, salvo gli ultimi tempi quando è peggiorata per le ricadute della polmonite, riusciva anche a mandar giù il cibo se qualcuno la imboccava. Ogni tanto apriva gli occhi e ci guardava ma non abbiamo mai saputo se quel guardarci era vero o se era una nostra interpretazione, un riflesso. In quelle condizioni nessun medico si spinge a dirti che c’è un contatto, che lei capisce…». La madre «l’ha seguita finché ha potuto, con il nostro aiuto, poi si è ammalata pure lei e quando è morta per mia sorella abbiamo dovuto cercare una sistemazione in una casa di cura. Ma siamo sempre andati a trovarla, fino all’ultimo. Ai tempi dell’incidente io avevo 22 anni, mia sorella Mara 24. Luigina era la prima figlia, per noi lei era una seconda mamma, a me ha insegnato la vita».
«Alla fine si accetta anche una condizione così estrema»
Luigina, ricorda Mara, era «innamorata della sua bambina, come tutti noi. Se ripenso adesso a quand’era ragazza mi torna in mente quella sua mania dell’abbronzatura. Stava al sole da maggio all’autunno, una lucertola. E adorava ballare…». Mentre secondo Loris «alla fine, si accetta anche una condizione così estrema. Nel senso che se ti capita una cosa nel genere che fai? Che puoi fare? All’inizio ti sembra insopportabile, poi in qualche modo ti adatti, anche se a cose così brutte non ti puoi mai abituare. Fai quello che puoi, un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro».
Un anno dopo l’altro
Mentre oggi c’è chi dice che è stato criminale tenerla per 33 anni a soffrire inutilmente. «Si rende conto? Lo dicono a noi… Io posso solo dire che certe cose dovrebbero provarle sulla propria pelle, prima di sparare giudizi. Se la vita ti mette davanti a una prova del genere non puoi fare altro che gestirla, con le tue forze e con quello che ti offre questo Paese. A chi dice che sarebbe stato meglio se lei fosse morta subito rispondo: sì, e quindi? Cosa fai? Chi vuole rispondere a questa domanda?». Il funerale di Luigina si terrà mercoledì 12 febbraio alle 15 nella chiesa parrocchiale di Colbertaldo. Poi la salma sarà cremata.