«AI inclusiva e sostenibile? No grazie»: perché Usa e Uk non hanno firmato la dichiarazione di Parigi al summit sull’intelligenza artificiale
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Gli Usa e il Regno Unito non hanno firmato la dichiarazione finale del summit di Parigi sull’intelligenza artificiale. Si sono rifiutati di mettere la propria sigla sul documento con cui i firmatari – 60 in totale, tra cui l’Italia e l’Unione Europea – si sono impegnati sviluppare un intelligenza artificiale «sostenibile e inclusiva». Oltre che «trasparente, etica, sicura e affidabile». Londra e Washington si sono così contrapposti ai Paesi europei ma anche a Cina India, Giappone, Australia e Canada. Con la dichiarazione, i firmatari si sono posti anche altri obiettivi. Tra questi, promuovere l’accessibilità dell’AI, favorirne lo sviluppo con una piattaforma internazionale, evitando che questo sia controllato da pochi gruppi industriali, assicurarsi che sia sostenibile per le persone e il pianeta. E, infine, rafforzare la cooperazione internazionale nella governance.
Il Regno Unito: «Poca chiarezza sulla governance»
Quest’ultimo è il punto toccato dal Regno Unito. «Abbiamo ritenuto che la dichiarazione non fornisse sufficiente chiarezza pratica sulla governance globale, né affrontasse a sufficienza le questioni più difficili sulla sicurezza nazionale e sulla sfida che l’IA pone a essa», ha affermato un portavoce del governo britannico presente al Grand Palais, dove si è tenuto il summit voluto dal presidente francese Emmanuel Macron. Anche il vicepresidente americano Jd Vance ha spiegato la decisione di non sottoscrivere il documento. Il numero due di Washington ha avvertito del pericolo di associarsi ai «regimi autoritari». Il riferimento è alla Cina.
Perché gli Usa non hanno firmato: «Troppe regole e rapporti con la Cina»
Pechino è un grande esportatore di prodotti tecnologici ma nel Paese asiatico l’intelligenza artificiale è meno regolata che altrove. Viene utilizzata per la sorveglianza di massa e il social scoring. Ovvero il monitoraggio del comportamento dei cittadini al fine di restringere la platea dei loro diritti. Ma Vance ha criticato anche l’Unione Europea, considerata responsabile di regolamenti troppo stringenti, come l’AI Act. «Abbiamo bisogno di regimi normativi internazionali che favoriscano la creazione di tecnologie di intelligenza artificiale anziché strangolarla, e abbiamo bisogno che i nostri amici europei, in particolare, guardino a questa nuova frontiera con ottimismo anziché con trepidazione», ha commentato Vance.
Di cosa si è discusso al summit di Parigi sull’AI
Al summit di Parigi è arrivata una prima risposta dell’Unione Europea agli Usa. Dal Grand Palais, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha annunciato InvestAI: un piano di investimento da 200 miliardi per creare enormi centri di intelligenza artificiale sul territorio europeo. La cifra deriva da una partnership tra pubblico e privato. 50 miliardi arriveranno dagli Stati Ue e altri 150 da grandi aziende e gruppi industriali, tra cui Airbus, L’Oréal, Mercedes, Siemens, e Spotify.
Anche la Francia padrona di casa ha annunciato investimenti propri per oltre 100 miliardi di euro. Ponendo l’accento soprattutto sulla sua grande disponibilità di energia nucleare in grado di soddisfare la sete dei server senza emettere gas serra. Infine, attualmente il maggiore stanziamento noto è quello degli Usa. Poche settimane fa il presidente Donald Trump ha annunciato Stargate: un piano da 500 miliardi finanziato dalle big tech, tra cui OpenAI, Oracle e Softbank.