La Wada piega Sinner per sfinimento, anche se «non ha imbrogliato e non ha avuto vantaggi». Perché per l’antidoping era colpevole
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Jannik Sinner non sapeva che il fisioterapista di allora lo aveva esposto al clostebol. Né il campione di tennis aveva intenzione, e la possibilità, di imbrogliare o trarre vantaggi dal presunto doping. Eppure alla fine Sinner ha patteggiato tre mesi di squalifica, pur di buttarsi alle spalle una volta per tutte questa storia. La Wada riconosce tutta la buona fede del campione azzurro, ammettendo che tutto «è avvenuto senza la sua conoscenza, come risultato della negligenza dei membri del suo entourage». Ma «in base al codice e in virtù del precedente Cas, un atleta è responsabile della negligenza dell’entourage».
Le tappe del ricorso
Lo scorso settembre, la Wada aveva fatto ricorso alla Corte d’abituato per lo sport (Cas) per il caso di Sinner, nonostante «era stato giudicato da un tribunale indipendente non colpevole o negligente – ricostruisce l’Agenzia Mondiale Anti-Doping – Nonostante l’appello, le circostanze del caso specifico hanno fatto sì che, per garantire un risultato equo e appropriato, la Wada fosse disposta a concludere un accordo di composizione, in conformità con l’articolo 10.8.2 del Codice mondiale antidoping».
Tre mesi di stop soddisfano la Wada
«Sulla base dei fatti unici di questo caso, una sospensione di tre mesi è considerata un risultato appropriato. Come precedentemente indicato, la Wada non ha chiesto la squalifica di alcun risultato, salvo quella che era stata precedentemente imposta dal tribunale di primo grado. La Federazione Internazionale di Tennis e l’Agenzia Internazionale per l’Integrità del Tennis, entrambe coinvolte nell’appello della Wada, non hanno fatto ricorso contro la decisione di primo grado ed hanno entrambi accettato l’accordo di risoluzione del caso».