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Lucio Corsi, parla Tommaso Ottomano, il chitarrista con lui sul palco: «Topo Gigio? Il ratto è per tutti immondizia, noi l’abbiamo portato a Sanremo»

17 Febbraio 2025 - 21:39 Gabriele Fazio
Lucio Corsi Tommaso Ottomani
Lucio Corsi Tommaso Ottomani
«La tua vita è cambiata – gli ho detto - adesso esci per fare una passeggiata e non sarà la stessa passeggiata che ti facevi una settimana fa», racconta a Open il musicista che è anche regista (pluripremiato) del suo video

Dietro il successo di Lucio Corsi al Festival di Sanremo c’è anche la mano di Tommaso Ottomano, che ha composto e prodotto insieme al cantautore toscano il brano Volevo essere un duro, e lo ha anche accompagnato sul palco durante le esibizioni della settimana alla chitarra. In realtà il primo lavoro di Ottomano è il regista e a livelli anche piuttosto alti: due volte vincitore ai Videoclip Music Awards, diverse campagne pubblicitarie di livello planetario per marchi come Gucci, Prada, Versace e Moncler, ma anche il video di The Loneliest dei Maneskin, con cui ha vinto l’MTV Video Music Award per il miglior video rock.

Vi aspettavate tutto questo?

«Assolutamente no, siamo arrivati con la nostra “cazzimma”, sapevamo di poterci aprire ad un pubblico più vasto, ma che le persone capissero il brano e lo accogliessero con così tanto calore no. Ero al telefono con Lucio proprio poco fa e ci domandavamo: “O ci abbiamo capito tutto dall’inizio o non ci abbiamo capito un cazzo”. Gesù avrà sbattuto la testa, avrà detto: “Miracoliamo questo personaggio qua”. E ora ci vado di mezzo pure io, tiriamo questo progetto assieme da dieci anni, finalmente nella nostra zona d’ombra si è accesa una lampadina»

La cosa più assurda vissuta al Festival?

«Di base tutto. Forse un po’ di più gli incontri, come quello con Bennato. E poi Venditti, pazzesco: ci ha regalato un cappello, quello che Lucio portava da Fazio. L’abbiamo presa come una sorta di benedizione, domani lo tagliamo, ce ne prendiamo un pezzo io e un pezzo lui»

Tu sei anche autore del testo, partner in crime di questo inno alla vulnerabilità…

«Abbiamo scritto questo pezzo in un periodo della nostra vita in cui avevamo mille sbatti. Ci dicevamo spesso questa cosa del voler essere dei duri e alla fine sempre “ma ‘sti cazzi, siamo quello che siamo”. Non pensavamo minimamente che sarebbe finita a Sanremo»

Tu speri che questo successo rappresenti una rivoluzione, sia per il Festival, sia in generale per la discografia?

«Non si può sapere, ma di sicuro serve a qualcosa. Il fatto che si sia accesa una lampadina sul progetto Lucio Corsi è anche un gran messaggio alla discografia, che ha qualche bug all’interno. Noi non siamo andati lì con la strafottenza dell’atto rivoluzionario, però di fatto è successa una piccola rivoluzione»

Come speri continui questa rivoluzione?

«Spero che le case discografiche pensino di firmare artisti che fino a oggi sono in ombra, anche se noi abbiamo la Sugar di supporto, che consideriamo una famiglia. Speriamo che le case discografiche diventino più sensibili verso una musica di un certo tipo, ai messaggi, non alle cose superficiali o a quelle cose tutte uguali»

Cosa è piaciuto secondo te così tanto di Lucio Corsi?

«Lucio ha una luce particolare. Sicuramente la sua semplicità, la sua insicurezza, le persone si sono riviste dentro le parole che abbiamo scritto e alla fine ha vinto quella cosa là. Quando riesci ad arrivare al cuore colpisci duro. Le persone si sono rotte i coglioni di sentire sempre la stessa roba. Noi ci metteremo il nostro, non scenderemo a compromessi»

Tu riesci molto bene a tradurre in video la poetica di Lucio Corsi…

«Quando scrivi il brano instauri un legame con quell’opera. Diventa una cosa tua. Quando faccio la regia di un video non ci rifletto molto su, non ascolto il pezzo cinquanta volte. Di solito la prima idea è quella giusta, quella che tengo. Quando abbiamo scritto Volevo essere un duro avevo già in mente questa immagine: di fatto io, seduto sul letto, che guardavo il poster dei miei idoli, sperando di superare i momenti difficili grazie alla musica. E questa cosa qui è condivisa pure da Lucio, chi guarda il video si riconosce in quella metafora»

È un video da cui trapela una grande passione…

«Io sono il primo fan di Lucio, penso che sia in assoluto l’artista che padroneggia nel modo migliore le parole. Lui per me è il cantautore oggi, in assoluto, non ce ne sono altri come lui. Ce ne sono altri molto bravi, come chiello, con il quale collaboro, ma sono progetti diversi. Così quando giro i suoi video dentro di me sento una enorme stima»

Un progetto molto distante da quello dei Maneskin…

«Ecco, per esempio, con i Maneskin è diverso: non c’è un supporto autorale, è un pochino più fredda la cosa. Mi hanno chiamato, volevano la mia regia, ci siamo fatti una bella chiacchiera su The Loneliest, che secondo me è il loro pezzo più bello, e qualcosa mi aveva stimolato. Dopo la prima strofa mi è venuta in mente l’idea del funerale»

C’è qualcosa di questo successo che vi sta arrivando addosso che vi fa paura?

«Non ho avuto tempo di pensarci, siamo finiti nel frullatore. Di certo questa cosa investe lui come persona fisica, ne parlavamo al telefono poco fa: “La tua vita è cambiata – gli ho detto – adesso esci per fare una passeggiata e non sarà la stessa passeggiata che ti facevi una settimana fa”. Di sicuro c’è da rendersi bene conto di questa cosa qua, ma fa parte del gioco. Voglio vedere il successo come una cosa positiva. D’altra parte questo ambaradan l’abbiamo fatta per far sentire le canzoni e adesso sta funzionando, la gente sta recuperando anche le cose vecchie del catalogo. Così anche le canzoni vecchie in qualche modo rinascono»

Quando personaggi come Lucio Corsi si presentano davanti al largo pubblico solitamente ad un certo punto ci si pone sempre il dubbio di quanto siano autentici…Lui lo è? Il pubblico può fidarsi?

«Certo. È impossibile mentire, impossibile far passare certi messaggi senza essere sgamati, il pubblico lo capirebbe. Dovrebbe essere un attore con una grandissima poker face, a certi livelli è molto difficile mentire. Se lo vedi così è perché è così. Ti confermo al 100%»

Un amico di infanzia in un’intervista di prossima uscita su Open ha detto che lui sarà avvantaggiato dal vivere a Castiglione…

«Si penso di si, ma sarà lui a gestirsi, farà un po’ come gli pare. Lui ama stare lì, passa tanto tempo sugli strumenti, e ha tutta la strumentazione per lavorare lì»

Come sopravvive un puro come Lucio Corsi in questa discografia?

«Facendo il contrario, non facendoci caso, come abbiamo sempre fatto: facendo quello che ci sentivamo di fare, con naturalezza e tanto sentimento. Poi Lucio non è emergente. Io ho letto tanti articoli definirlo un emergente. Un emergente un cazzo, emergente è uno che ha fatto il suo primo disco e si ritrova a culo a Sanremo e quest’anno ce n’erano…»

Secondo te perché è piaciuto così tanto all’Italia?

«Di sicuro per la sua personalità, perché è gentile e sincero. Le persone non sono stupide, alle volte i discografici, ma anche altri musicisti, pensano che il pubblico è fatto di deficienti. Ma non è così, se uno viene confrontato con altri artisti, che è una cosa figa di Sanremo, poi si vede chi è sincero e chi no, chi scrive musica impegnata e chi no, te ne accorgi. Abbiamo fatto un brano che tocca dei temi che tutti noi conosciamo molto bene. Il testo è reale, vero e potente»

Effettivamente un atteggiamento piuttosto inedito nella discografia italiana attuale…

«Al Festival non ci credevano, ci hanno chiesto: “La chitarra la prendiamo in base?”, “Ma che cazzo dici? Suoniamo tutto noi”. All’ultima performance sul palco, durante l’assolo, la mia chitarra non suonava bene, non è partito il distorto, questo per dirti che ci siamo assunti il rischio. Anche la cosa leggermente stonata è figa perché è sincera»

Ieri a Domenica In è montata una piccola polemica perché tanti artisti hanno denunciato il fatto di cantare in playback, voi no. Ve lo hanno chiesto e avete rifiutato?

«No, assolutamente, non ce lo hanno chiesto. Ci avevano detto che avremmo dovuto fare questa cosa a Domenica In, perfetto: chitarra, voce e piano, non lo faremo mai il playback»

Tu ti sei divertito ad accompagnare Lucio in questa avventura?

«Io non ci volevo andare, poi però si, mi sono divertito, andava pure a me di godermi questa esperienza, ma la mia parte poi finisce qui. Lui ha la sua band»

Come è nata questa idea di Topo Gigio?

«È nata perché abbiamo pensato a chi potesse essere l’artista da invitare, poi abbiamo detto: invitiamo un pupazzo. Ne abbiamo considerati diversi, da Topo Gigio a Dodò, alla fine abbiamo scelto Topo Gigio. Che poi la scelta è dovuta anche al fattore topo…»

Cioè?

«Il topo è un animale sempre visto come qualcosa di schifoso, lo associamo all’immondizia, alle parti più squallide della città. A me invece piace un sacco. Abbiamo portato un topo a Sanremo, incredibile»

Lucio Corsi, a proposito di Topo Gigio, ha anche gestito bene la polemichetta sulle gag con Carlo Conti e Mahmood, che pare gli abbiano dato fastidio

«Questa cosa qua non so da dove è uscita. A noi non ce ne frega niente e Lucio non si è arrabbiato. In tutto quel frastuono, figurati, non c’era neanche tempo. La performance è venuta bene, le persone sono impazzite. È solo la solita polemica social che monta»

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