Infezione polimicrobica, che cos’è e quanto è pericolosa la malattia di Papa Francesco
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Sono ore di apprensione per Papa Francesco, ricoverato da diversi giorni al Gemelli di Roma e ora sottoposto a una differente terapia rispetto a quella decisa dai medici nelle prime ore di degenza. «Gli ultimi accertamenti hanno dimostrato un’infezione polimicrobica delle vie respiratorie», spiega il comunicato del Vaticano, «che ha determinato una ulteriore modifica della terapia». Di cosa si tratta nello specifico?
Un’infezione polimicrobica viene diagnosticata con la rilevazione di due o più microrganismi patogeni, presenti quindi nello stesso momento nel tratto respiratorio. Si parla di batteri, virus e funghi che diventano maggiormente pericolosi per l’organismo non solo a causa della loro presenza simultanea ma anche perché in grado di interagire tra loro, rendendo più complicato non solo il processo di diagnosi ma anche quello terapeutico. Quella che ha colpito il Pontefice è nelle vie respiratorie, ma infezioni di questo genere possono verificarsi anche nelle vie urinarie, a livello gastrointestinale e provenire da ferite infette. Tra le caratteristiche principali:
· Maggiore virulenza: l’interazione tra i microrganismi può potenziarne la patogenicità, favorendo la produzione di tossine o la resistenza ai trattamenti
· Difficoltà diagnostiche: proprio per la molteplicità di “nemici” dell’organismo che la compongono, spesso è necessario combinare diverse tecniche microbiologiche e molecolari per identificare tutti i patogeni coinvolti.
· Resistenza agli antibiotici: Le infezioni polimicrobiche sono spesso più difficili da trattare perché possono coinvolgere batteri resistenti o richiedere terapie combinate
Come si arriva alla diagnosi?
Ci sono voluti giorni di accertamenti per i medici del Gemelli per determinare la presenza di un’infezione polimicrobica nelle vie respiratorie del Santo Padre. Questo tipo di diagnosi più complessa rispetto a un’infezione monomicrobica prevede l’uso combinato innanzitutto di test molecolari e PCR per individuare il dna o rna di virus e batteri; esami di imaging, e cioè analisi basate sull’osservazione di un’area dell’organismo non visibile dall’esterno di cui la radiologia è la branca principale, con esecuzione di TAC e radiografie in prima linea; emocolture (coltura di un campione di sangue ottenuto in condizioni di sterilità) al fine di valutare se l’infezione è sistemica e cioè se è arrivata a comprendere più parti all’interno dell’organismo.
I sintomi
Non c’è una sintomatologia univoca, molto dipende dalla tipologia dei patogeni coinvolti e dalla potenza della loro interazione. È possibile comunque individuare dei segnali ricorrenti presenti nelle differenti forme di infezioni polimicrobiche:
· febbre persistente
· astenia e debolezza generale
· forte tosse
· difficoltà respiratoria
· dolori muscolari e articolari
Nelle forme più gravi può verificarsi anche una forte accelerazione cardiaca e un ricorrente fenomeno di cianosi causato dalla temporanea mancanza di ossigeno. Potrebbe essere poi necessaria una broncoscopia in caso gli esami radiologici individuino degli addensamenti.
Chi colpisce e quali sono le cause
Le infezioni polimicrobiche colpiscono soprattutto soggetti più vulnerabili dal punto di vista immunologico, si parla di organismi immunocompromessi come quelli dei pazienti oncologici, trapiantati o persone in cura per Hiv. Altra categoria particolarmente soggetta è quella degli anziani, la maggiore fragilità del loro sistema immunitario o la presenza di malattie croniche come diabete o patologie cardiovascolari può rendere i soggetti più predisposti a multipli attacchi patogeni. Senza dimenticare il rischio proveniente dai maggiori ricoveri e permanenze negli ambienti ospedalieri. Soprattutto nei reparti di terapia intensiva, l’uso di ventilatori meccanici espongono al rischio di polmoniti polimicrobiche, o ancora l’utilizzo di cateteri urinari favoriscono la possibile colonizzazione di batteri e funghi.
In ultimo i pazienti con malattie respiratorie croniche come quelle ai bronchi, asma grave, o fibrosi cistica. Infezioni virali e polmoniti rimangono le due principali cause che portano al verificarsi di infezioni molto più complesse di quelle provocate da un solo microrganismo patogeno.
La possibile terapia
L’intervento immediato per combattere un’infezione polimicrobica è quello effettuato tramite una terapia antibiotica. I successivi trattamenti prenderanno via via un carattere più specifico con gli accertamenti provenienti dalle colture: solo con la verifica della tipologia dei singoli microrganismi patogeni presenti in modo simultaneo nelle vie respiratorie si potranno individuare gli antibiotici più adatti per intervenire.
Così come l’azione simultanea dei patogeni nell’organismo, anche la terapia dovrà essere in grado di arginare la molteplicità di agenti infettivi: oltre agli antibiotici saranno necessari degli antivirali, nel caso in cui i test molecolari abbiano individuato la presenza di virus; allo stesso modo per gli antifungini. Il paziente potrebbe essere poi aiutato anche con attività di supporto per le eventuali difficoltà respiratorie presentate.
Quanto è pericolosa?
La pericolosità delle infezioni polimicrobiche varia in base a diversi fattori: tra cui la gravità dell’infezione, la presenza di comorbidità e l’accesso a cure tempestive. Nei pazienti ospedalizzati si parla di un tasso di mortalità che va dal 20% al 50%. Il rischio sale nei casi per esempio di broncopneumopatia cronica ostruttiva, la patologia cronica polmonare caratterizzata da una forte ostruzione dei bronchi. La percentuale arriva fino al 70% per i pazienti ricoverati nelle terapie intensive e sottoposti a ventilazione meccanica: la procedura prevede l’utilizzo di un macchinario mirato a facilitare l’immissione e l’emissione d’aria nei polmoni ma che allo stesso tempo può esporre l’organismo all’invasione simultanea di diversi microrganismi patogeni.