Perché Giorgia Meloni dice no all’invio di soldati europei in Ucraina
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«Ho appena parlato con il presidente Donald Trump e il presidente Volodymyr Zelensky. Vogliamo una pace solida e duratura in Ucraina. A tal fine, la Russia deve porre fine alla sua aggressione e ciò deve essere accompagnato da garanzie di sicurezza forti e credibili per gli ucraini. Altrimenti si rischia di veder finire questo cessate il fuoco come gli accordi di Minsk». Il post pubblicato su X da Emmanuel Macron a tarda notte dopo l’incontro di Parigi nascondono il fatto che il vertice tra i principali paesi europei sia finito senza un’intesa. Anche a causa della posizione italiana. Giorgia Meloni si è messa infatti a capofila del no all’invio di soldati. E ha perorato di nuovo la causa di Trump.
La premier
I retroscena raccontano che Meloni è arrivata con un’ora di ritardo al summit. Subito dopo alcune fonti hanno parlato di conclusioni interlocutorie per il vertice, «come non potrebbe essere altrimenti visto il formato». La premier italiana ha sottolineato l’assenza dei paesi baltici, a suo dire i più interessati all’argomento Vladimir Putin. Meloni ha fatto sapere di essere andata al vertice convocato da Parigi perché così ha potuto portare il punto di vista dell’Italia. Ma, è il ragionamento che riporta Repubblica, alla premier restano le perplessità «riguardo un formato che esclude molte nazioni, a partire da quelle più esposte al rischio di estensione del conflitto». Come i paesi baltici, al confine con la Russia. Stati che bisognerebbe «includere, come sarebbe opportuno in una fase storica come questa. Anche perché la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti».
Il peacekeeping
Ma il vero punto di attrito rispetto agli altri leader europei è sull’invio dei soldati. Per Meloni l’ipotesi «che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina è la più complessa e forse la meno efficace. E anche su questo ho espresso le perplessità dell’Italia». Per la premier andrebbero «esplorate altre strade». Tra queste, si sussurra ma non si dice, estendere l’articolo 5 del trattato della Nato a Kiev senza però portarla dentro l’Alleanza Atlantica. Ma agendo in coordinamento con gli Stati Uniti, perché su questo «si fondano la sicurezza europea e americana». Secondo Meloni «gli Stati Uniti lavorano alla pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte». E la premier difende pure il discorso di Monaco di JD Vance. E rivendica di «condividere il senso delle sue parole, ho espresso concetti simili da molto tempo».
Laissez faire, laissez passer
Meloni è convinta della necessità di un Laissez faire nei confronti del presidente americano. E secondo La Stampa prima che Trump sferzasse l’Europa concetti simili a quelli degli Usa erano stati espressi da Mario Draghi. Bisogna essere «più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti», è il ritornello che esce da Palazzo Chigi. Con queste premesse è difficile che le conclusioni del vertice fossero più che interlocutorie.
Dopo più di tre ore i capi dei governi di Francia, Italia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Danimarca, Polonia e Olanda – alla presenza dei vertici Ue e della Nato – si sono trovati solo sui principi generali. Ovvero sulla necessità di condividere le scelte con gli Stati Uniti, l’esigenza di garantire una pace giusta e di proteggere l’Ucraina. Macron ha addirittura fatto precedere la riunione da un gesto eloquente, una telefonata di una ventina di minuti con Trump, un segnale di mano tesa e di volontà di collaborazione. Ma non è bastato.
Le posizioni
Il primo ad uscire dalla riunione è stato Olaf Scholz. Il cancelliere ha insistito in particolare sull’aumento del finanziamento dello sforzo europeo per la sicurezza. Ma anche lui non vuole sentir parlare delle truppe in Ucraina. «Credo che sia del tutto prematuro parlarne ora. Anzi sono anche un po’ irritato per questo dibattito. Voglio dirlo chiaramente: qui si discute sulla testa degli ucraini di trattative di pace che ancora non hanno avuto luogo, alle quale gli ucraini non hanno detto di sì e non si sono nemmeno seduti al tavolo», è la posizione.
Il polacco Tusk, ha ammesso che i rapporti fra Europa e Stati Uniti entrano ormai in “una nuova fase” ed ha riferito che “tutti i partecipanti” alla riunione ne hanno convenuto. Ma, ha aggiunto, si rendono conto “unanimemente” che “un aumento delle spese di difesa è assolutamente necessario”. Come Madrid, anche Varsavia però è risultata quanto meno riluttante all’ipotesi di stivali sul terreno, L’unico ad aprire è stato Keir Starmer, primo ministro britannico che la settimana prossima andrà a Washington da Trump e vorrebbe ricoprire il ruolo di facilitatore fra Europa e Usa. Come lui la pensa anche la Svezia.