Alessandro Alfieri è il nuovo capo dei riformisti Pd: «Schlein ricordi a Conte che stiamo dalla parte delle democrazie liberali, non di Trump» – L’intervista
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Le diverse anime che compongono il centrosinistra sembrano sempre più distanti da quella che dovrebbe essere una coalizione solida. Bastano poche parole fuori luogo per far scricchiolare un’alleanza. O quantomeno per creare uno scossone. E si è visto ieri, con l’acceso scontro tra la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, storica esponente del Pd, e l’eurodeputato pentastellato Gaetano Pedullà, che ha accusato Picierno di essere «un’infiltrata fascista nella sinistra». Ma Alessandro Alfieri, il nuovo coordinatore di Energia Popolare, la corrente riformista interna al Partito Democratico fino a poco fa guidata da Stefano Bonaccini (come riformista è Picierno), senatore alla seconda legislatura, di questo non è preoccupato: «Il confronto, anche aspro, faccia parte della dialettica democratica». Per Alfieri, ora spetta però alla segretaria Elly Schlein ridare una rotta comune all’intera coalizione: «Il suo compito non è facile, ma deve ricordare a Giuseppe Conte che i progressisti sono sempre dalla parte delle democrazie liberali, dell’Unione Europea e delle istituzioni multilaterali. Sempre. Anche quando a indebolirle ci pensa un signore di nome Trump».
Senatore, Conte considera Zelensky “un dittatore”, sposando la linea di Trump. Cosa ne pensa delle dichiarazioni rilasciate ieri dal leader del M5S?
«Le simpatie di Conte nei confronti di Trump non le scopriamo oggi. Ma non è quello il punto. In una fase delicata come questa non bisogna indebolire chi rappresenta gli sforzi e le sofferenze del popolo ucraino. In futuro avremo tempo di discutere su tutto ciò che è successo. Adesso è totalmente controproducente. La priorità deve essere quella di un pieno coinvolgimento anche del governo ucraino e dell’Unione Europea nel processo per arrivare alla pace, perché sia la più giusta possibile».
Il Pd ha sempre sostenuto la linea di inviare aiuti in Ucraina però. Come può incontrarsi con i pentastellati?
«Se vuoi costruire un’alternativa credibile al governo Meloni, bisogna lavorare per valorizzare al massimo le battaglie che ci vedono uniti a difesa della sanità pubblica, del salario minimo, di un modello di sviluppo sostenibile dentro la transizione ecologica e digitale. E trovare con pazienza sintesi avanzate sui punti più critici».
Il M5S è ancora un alleato credibile per il Pd?
«Guardi, io comprendo che Conte faccia la propria parte parlando anche a quella parte di elettorato stanca di una guerra che ha fatto lievitare bollette e inflazione e un po’ meno sensibile al messaggio della difesa delle democrazie liberali e dei diritti umani fondamentali del popolo ucraino. Ma comprendo meno, anzi non condivido affatto la celebrazione per le parole di Trump, che sta letteralmente asfaltando il sistema multilaterale costruito dopo il 1945 e dal punto di vista valoriale e politico sta agli antipodi rispetto al campo dei progressisti e del centrosinistra. Il contrasto culturale, prima ancora che politico, al modello avanzato da Trump è la precondizione per costruire un percorso serio e credibile di collaborazione».
Ieri è arrivato l’attacco a Pina Picierno. Cosa ne pensa? È preoccupato?
«Penso che il confronto, anche aspro, faccia parte della dialettica democratica. Quello non mi preoccupa. Ma definire Pina “un’infiltrata fascista nella sinistra” è offensivo per tutti noi. Ci sono delle “line rosse” che non vanno oltrepassate, anche nello scontro politico più duro! È questo vale per tutti. Lo ricordo per primo a me stesso».
Secondo lei sta resuscitando l’alleanza giallo-verde? Ha ragione Picierno?
«No, questo non lo credo. Ma è innegabile che nei partiti con tratti populisti, come accade anche in altri paesi europei, questioni legate alla sicurezza, alla gestione dei flussi migratori e al conflitto russo ucraino hanno trovato una rappresentanza da cui scaturiscono posizioni talvolta sovrapponibili».
C’è futuro per la coalizione del centrosinistra? Come si evolverà?
«Il governo Meloni è completamente bloccato davanti ad un Paese in cui la sanità pubblica incontra sempre più difficoltà, la produzione industriale è in calo da mesi e gli stipendi perdono potere d’acquisto. Se vogliamo mandare a casa la destra, non c’è alternativa al lavoro comune con tutte le opposizioni. Un lavoro che richiede pazienza e senso di responsabilità. Da parte di tutti, a partire da noi che siamo il partito più grande».
C’è un grande movimento nel Pd. Cosa sta succedendo? C’è malcontento verso la segretaria Elly Schlein?
«Ma no. La comunità democratica non ha mai condiviso il modello di partito personale. Noi siamo un partito plurale ed è normale, anzi vitale, che ci siano iniziative e momenti di confronto. L’importante è che siano sempre orientati a dare una mano, al Pd e a Elly Schlein che lo guida, in termini di idee e proposte. Ad esempio, con Stefano Bonaccini e Giorgio Gori proprio questo sabato a Bergamo abbiamo promosso una giornata intera di approfondimento e confronto su politiche industriali e innovazione tecnologica coinvolgendo esponenti di punta del mondo imprenditoriale e sindacale assieme ai nostri rappresentanti istituzionali».
Come dovrebbe porsi Schlein rispetto a quanto successo con Conte?
«La nostra segretaria ha un compito difficile: promuovere con pazienza e spirito unitario le condizioni per un percorso comune delle opposizioni. Questo certamente non impedisce che si ricordi a Conte che i progressisti stanno dalla parte delle democrazie liberali, dell’Unione Europee e delle istituzioni multilaterali. Sempre. Anche quando a indebolirle è un signore di nome Trump».