Nello ricorda il fratello Pino Daniele: «Fu il primo a fare un disco trap. Tutti dicevano: “È uscito pazzo”»
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Il primo ricordo di Nello che riguarda il fratello Pino Daniele è familiare: «Quando, bambini, giocavamo nel Monastero di Santa Chiara, vicino a casa, a Napoli. Io ero il più piccolo di noi sei fratelli, lo scugniziello, Pino aveva dieci anni più di me. Io giocavo a pallone e lui si sedeva sui muretti e componeva le prime cose. Poesie, che poi diventavano canzoni». Nello ha un anno in meno di Pino e anche lui fa il musicista: ha pubblicato sette album. Nell’intervista che rilascia al Corriere della Sera dice che il fratello ha scritto «Napul’è» e «Terra mia» proprio seduto su quei muretti.
Muretti e spartiti
«Ho ancora gli spartiti. All’inizio, andava alle Feste dell’Unità e suonava brani che non aveva ancora inciso. Diceva: questa canzone non so quando uscirà, ve la faccio sentire. Si era fatto comprare dalle zie la prima chitarra a nove anni. Papà lavorava al porto, dove attraccavano le portaerei, e lo portava con lui a via Medina quando accompagnava gli americani a sentire il blues», dice a Candida Morvillo. La sua non era una famiglia di musicisti: «Mio fratello Salvatore suonava i campanelli delle porte e scappava. E mio fratello Carmine dietro. Solo Pino aveva questo amore. Imparò la chitarra da solo, poi si mise a cercare un gruppo. Trovò James Senese, gli chiese se serviva un chitarrista, James rispose: no, cerco un bassista. E lui: allora, suono il basso. Accompagnò in tour Bobby Solo che una volta, in Svizzera, se lo sentì suonare alle spalle così bene che gli uscì un “qua ci sta B. B. King”».
Il concerto-tributo
Il 19 marzo, giorno del suo 70esimo compleanno, è in programma un concerto tributo a Napoli in piazza del Gesù: «Da quando è mancato, abbiamo sempre fatto il memorial “Je sto vicino a te Forever” al chiuso, ma ora, per il decennale della morte, abbiamo voluto un concerto tributo, ripreso dalla Rai, aperto a tutti e pieno di amici, tra gli altri: Mario Biondi, Tony Cercola, Eugenio Finardi, Tullio De Piscopo, Enzo Gragnaniello, i Negrita, Raiz, Michele Zarrillo, i 99 Posse. Nello spot, usiamo una frase di Pino, “puorteme a casa mia”, perché è un ritorno alle radici. Proprio a Piazza del Gesù passava il bus 140, lo prendevamo per andare al mare a Posillipo. Pino lo mise in Canto do mar».
Pino musicista
L’accoglienza per il Pino musicista in famiglia non è stata un granché: «Ricordo quando portò il primo singolo, Che calore . Papà lo sfotteva: ma dove vai con ’sto disco? Nessuno ci credeva. Anche perché nessuno aveva mai sentito cantare il dialetto napoletano su una musica americana». Poi: «Il successo vero arrivò col terzo album, Nero a metà. Il quarto, Vai mo’ , fu la bomba: c’erano dentro Yes I know my way , Che te ne fotte , Viento ’e terra , Sulo pe’ parlà. Stavamo ancora in via Atri e, grazie a quel disco, Pino comprò una casa a mamma e papà. Era il 1981, al concerto a Piazza del Plebiscito vennero duecentomila persone. Io avevo 16 anni, stavo coi pantaloni corti, accanto a Tullio De Piscopo. La Rai dovette interrompere la diretta per motivi di ordine pubblico».
Il disco trap
Il fratello ricorda che «musicalmente, Pino ha sempre seguito il suo istinto, amava le contaminazioni, si rifiutava di cantare sempre le canzoni che gli chiedevano tutti o di farle sempre allo stesso modo. E non gli piaceva la sua voce, diceva: non sono cantante, sono chitarrista e poi scrivo le canzoni. Nel 1999 fu il primo a fare un disco trap, Come un gelato all’equatore. Tutti dicevano: è uscito pazzo. Ma oggi tutti fanno trap. Tanti grandi lo amavano: di Eric Clapton, Steve Gadd, Pat Metheny, era diventato amico».
Il calcio
Il calcio, invece, «gliel’ho fatto amare io. Sono stato un capo dei tifosi, amico di Ciro Ferrara e Diego Maradona che ho presentato a Pino. Quante serate insieme… Ho ancora il video di Pino capellone che fa Je so’ pazzo a casa di Ciro, mentre Maradona balla vicino alla porta. Era stato Maradona a chiedere di conoscerlo: gli avevano detto che era l’altro re di Napoli ed erano diventati inseparabili». Che carattere aveva suo fratello? «Simpatico, ironico e rigoroso. È stato un esempio per tutti noi che gli siamo stati vicini, perché aveva le sue regole, una sua dignità. Se qualcosa non gli piaceva, non ti parlava per uno o due anni: è successo a me e ad altri. E poi era generoso: regalava pure le sue chitarre più belle. Diceva: non ti devi affezionare alla macchina, l’importante è che ti rimane la patente».
La morte
Infine, la morte: «Quando ebbe il primo bypass, era un intervento serio, non ancora di routine, e tutti pensavano che non sarebbe tornato a cantare. Stette fermo tre anni, ma nel ’93 fece il tour E sona mo’ , uno dei più strepitosi. Diceva: finché vivrò, starò sul palco. Al concerto di Capodanno 2015, ero con lui, si sentiva un po’ strano, fu l’unica volta che saltò le prove. Ma la prese sottogamba. Non se l’aspettava, aveva progetti: un disco in napoletano con la chitarra classica, un tour con Pat Metheny. Poi, il 4, l’ultimo attacco». Perché quella notte fu respinta l’ambulanza di Orbetello e Pino andò a Roma in auto dal suo medico? «Non ero presente, ma so che Pino voleva fare sempre di testa sua e che era impossibile dirgli di no».