L’atto di accusa della Cpi su Almasri: «Così l’Italia ha fatto scappare un torturatore»
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L’Italia non «ha rispettato l’obbligo di collaborare con la Corte penale internazionale». Liberando il presunto assassino e torturatore Osema Almasri. Ed «esponendo vittime e testimoni, nonché le loro famiglie, a un potenziale e grave rischio di danno». L’atto di accusa della Cpi contro il governo Meloni è arrivato. Il procuratore dell’Aia Karim Khan ha chiesto il deferimento dell’Italia all’Assemblea degli Stati e al Consiglio di sicurezza dell’Onu per non aver rispettato l’articolo 87 del trattato di Roma. Che al comma 7 prevede: «Se uno Stato non aderisce ad una richiesta di cooperazione della Corte, impedendole in tal modo di esercitare le sue funzione» finisce a processo.
Il caso Almasri
A parlare dell’atto è oggi Repubblica. Nelle 14 pagine Khan ricostruisce gli errori e le omissioni dell’esecutivo. «L’Italia è stata correttamente informata della richiesta di arresto la sera di sabato 18 gennaio, prima dell’arresto di Almasri. La trasmissione è stata eseguita attraverso i canali indicati dall’Italia, vale a dire l’Ambasciata», si legge nell’atto. Ma la comunicazione è stata letta il 20 agosto: «Anche se fosse così è irrilevante » scrive Khan. «Il fatto che le autorità competenti non abbiano adottato le necessarie misure di coordinamento interno non costituisce di per sé una valida giustificazione per non adottare le misure. La trasmissione ritardata e il mancato coordinamento interno costituiscono un mancato rispetto della richiesta di cooperazione».
Il governo e la Corte d’Appello
Il governo si è sempre difeso sostenendo che è stata la Corte d’Appello di Roma a scarcerare Almasri. A causa della mancata interlocuzione preventiva tra tribunale e via Arenula. «Anche accettando questa interpretazione della legge, contestata dalla maggior parte dei commentatori accademici, il ministero – si legge nell’atto – avrebbe dovuto rispondere alla richiesta del procuratore generale. E trasmettere il 20 gennaio le richieste» al tribunale, replica Khan. Così la Corte avrebbe potuto ordinare l’arresto e trattenerlo. Riguardo le altre tesi difensive esposte dal ministro Carlo Nordio in Parlamento, la replica è chiara: «Anche supponendo che queste questioni critiche esistessero, il che non è vero, l’Italia non ha consultato la Corte per risolverle», scrive Khan.
L’Italia e il torturatore
«Se lo avesse fatto, le questioni sarebbero state chiarite e risolte il 20 gennaio». Il ministero avrebbe avuto il tempo di trasmettere le richieste al procuratore generale e alla Corte d’appello. E «avrebbe potuto ordinare nuovamente la detenzione di Almasri», dice il procuratore. Il deferimento si conclude così: «Il mancato coinvolgimento costruttivo e la mancata consultazione della Corte non appena l’Italia ha identificato le presunte questioni critiche equivale a un mancato rispetto di una richiesta di cooperazione».