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Elezioni in Germania, dal caro energia all’auto: le ragioni della crisi economica che ha spinto il Paese verso l’Afd

23 Febbraio 2025 - 06:58 Gianluca Brambilla
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«Il governo Scholz ha reagito bene alla crisi energetica ma ha fallito sulla politica industriale», dice a Open Clemens Fuest del thin tank Ifo

La crisi politica che ha portato alla sfiducia di Olaf Scholz e alle elezioni anticipate in Germania, che si svolgeranno oggi 23 febbraio, è legata a doppio filo con la crisi economica. Il governo della cosiddetta «coalizione semaforo» – composta da Socialdemocratici, Liberali e Verdi – si è spaccato proprio quando avrebbe dovuto mettersi d’accordo sul pacchetto di riforme per risollevare l’economia del Paese. Da «locomotiva d’Europa» la Germania è diventata una delle economie meno performanti del Vecchio Continente (nel 2024 il suo Pil si è ridotto per il secondo anno consecutivo) e ha risentito più di tutti gli altri degli shock che hanno sconvolto l’Ue negli ultimi anni: dalla pandemia di Covid alla guerra in Ucraina, dalla crisi del gas russo alla svolta protezionistica degli Stati Uniti di Donald Trump.

Lo stop al gas russo e il caro-energia

A trascinare l’economia tedesca verso la recessione ha contribuito una tempesta perfetta di fattori, cominciata soprattutto con la crisi energetica del 2022. «La Germania è stata colpita più di altri Paesi dall’aumento dei prezzi dell’energia in seguito all’attacco russo all’Ucraina», spiega a Open Clemens Fuest, economista tedesco e presidente del think tank Ifo Institute for Economic Research. In quel momento, la Germania era il Paese europeo più dipendente dalle esportazioni di gas dalla Russia. E quando Vladimir Putin, in risposta alle sanzioni europee, ha deciso di chiudere i rubinetti verso il Vecchio Continente, Berlino ha risentito più degli altri dello stop alle forniture. La Germania, inoltre, ha fondato buona parte della propria economia sull’industria cosiddetta «energivora», ossia che richiede grosse quantità di energia per funzionare, come acciaierie, stabilimenti chimici, fabbriche di automobili e cartiere.

Quando il gas a basso costo proveniente dalla Russia ha smesso di arrivare in Germania, le aziende si sono trovate a fare i conti con bollette salatissime e alcune di loro hanno optato per lo stop della produzione. Il governo Scholz ha reagito puntando con decisione sulle rinnovabili, su cui Berlino – almeno fino a pochi anni fa – era in ritardo rispetto alla media dei Paesi europei. La coalizione semaforo ha annunciato investimenti record per eolico e solare e ha confermato la decisione – presa dai governi precedenti a guida Angela Merkel – di chiudere le centrali nucleari ancora in funzione. «Il governo Scholz ha gestito la crisi energetica abbastanza bene, ma non ha avuto successo nella sua politica industriale», spiega Fuest. L’economista tedesco ricorda come Berlino «ha provato a sostenere il settore industriale con sussidi specifici per le aziende di batterie o semiconduttori», ma precisa che «questa politica ha ampiamente fallito».

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EPA/Hannibal Hanschke | Robert Habeck, ministro dell’Economia e del Clima e leader dei Verdi, mostra una tabella sulla transizione energetica della Germania durante una conferenza stampa a Berlino

La crisi dell’auto, pilastro dell’economia tedesca

Il caso più esemplare della crisi in cui è piombata la Germania riguarda il settore automobilistico, che per decenni è stato il vero motore economico del Paese. Lo scorso anno, Volkswagen ha annunciato un maxi-piano di risanamento che prevedeva la chiusura di tre fabbriche e decine di migliaia di licenziamenti. Un vero e proprio tabù per il colosso tedesco dell’auto, che in Germania conta 120mila dipendenti e non annunciava piani di licenziamento da oltre tre decenni. Dopo un braccio di ferro con i sindacati, l’azienda ha deciso di lasciare aperti gli stabilimenti ma ha comunque imposto il taglio degli stipendi agli operai. Non se la passano meglio anche gli altri grandi marchi tedeschi dell’auto, con Audi che ha annunciato la chiusura di uno stabilimento di auto elettriche a Bruxelles, in Belgio, e Bmw che ha visto un crollo dell’utile netto dell’83,8% nel terzo trimestre 2024.

Dietro le difficoltà dell’industria automobilistica tedesca si nascondono soprattutto tre ragioni: la concorrenza cinese, gli alti prezzi dell’energia e il ritorno in auge del protezionismo. A questi motivi, poi, si aggiunge la transizione, che procede a rilento e con più difficoltà del previsto, verso l’auto elettrica. «Nell’Ue e in Germania manca un programma di politica industriale efficiente, che risponda ai massicci sussidi e incentivi erogati in Cina e negli Stati Uniti», osserva Steffen Schmidt, portavoce di IG Metall, il potente sindacato metalmeccanico che rappresenta oltre 2 milioni di lavoratori tedeschi. Alla fine del 2023, il governo Scholz ha deciso di cancellare gli incentivi per l’acquisto di veicoli a batteria, facendo crollare le vendite di auto elettriche in tutta la Germania.

Ma a preoccupare la politica non è tanto l’andamento del mercato tedesco delle auto, quanto la dipendenza dei costruttori dalla Cina, sia per quanto riguarda le vendite che per il reperimento delle materie prime. In Asia le case automobilistiche tedesche stanno perdendo sempre più quote di mercato a causa della concorrenza dei produttori locali, tra cui il colosso Byd. Questo tema è stato sottolineato più volte in campagna elettorale da Friedrich Merz, candidato cancelliere della Cdu-Csu, che ha promesso di aiutare le case automobilistiche tedesche solo a patto che queste rompano una volta per tutte la propria dipendenza da Pechino.

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EPA/Julian Stratenschulte | Dipendenti della Volkswagen in sciopero davanti allo stabilimento di Wolfsburg, 2 dicembre 2024

Sale la disoccupazione

Ci è voluto poco tempo perché la crisi dell’industria tedesca facesse sentire tutto il peso anche sul mercato del lavoro. Per buona parte degli ultimi due decenni, la Germania era riuscita ad andare molto vicino alla piena occupazione. Ma il modello inaugurato a inizio anni Duemila con le riforme del cancelliere Gerhard Schröder sta iniziando a scricchiolare. Secondo l’istituto di ricerca Ifo, «quasi tutti i rami dell’industria in Germania vogliono ridurre il loro personale». E nel 2025, sempre secondo le previsioni, il numero di disoccupati potrebbe superare la soglia psicologica dei 3 milioni per la prima volta nell’ultimo decennio.

Peraltro, fa notare Politico, i dati sul tasso di disoccupazione – che a gennaio ha raggiunto il 6,2% – non raccontano davvero la gravità della situazione nella sua interezza. In Germania esistono infatti una serie di strumenti governativi che andrebbero tenuti nella giusta considerazione, come il Kurzarbeit, un programma che permette alle aziende di ridurre le ore al personale invece di tagliare posti di lavoro. Alla fine del 2024, il governo Scholz ha esteso da uno a due anni il periodo durante il quale le aziende possono ricorrere al Kurzarbeit. Se l’economia non dovesse tornare a correre, dunque, gli economisti temono un nuovo aumento di licenziamenti ed esuberi.

La crisi economica, carburante dei consensi di AfD

Secondo molti osservatori, è stata proprio la crisi economica – insieme alla diffusione del sentimento anti-migranti – a favorire l’ascesa del partito di estrema destra Alternative für Deutschland, che secondo gli ultimi sondaggi si piazzerà al secondo posto delle preferenze degli elettori dietro la Cdu-Csu. «I governi in carica sono sempre additati come responsabili dei cattivi risultati economici», osserva Clemens Fuest. Secondo un report del Forum for a new economy, pubblicato nel 2024, lo shock energetico causato dall’invasione russa ha provocato il più grave crollo degli standard di vita dei cittadini tedeschi dalla seconda guerra mondiale, oltre a una flessione della produzione economica paragonabile alla crisi finanziaria del 2008. «I partiti populisti di destra stanno beneficiando molto dell’attuale crisi economica, perché giocano con la paura e le preoccupazioni delle persone e ne traggono profitto», avverte Schmidt. Secondo il sindacalista di IG Metall, partiti come AfD «offrono soluzioni apparentemente facili, ma sbagliate, a problemi molto complicati. E purtroppo, sempre più persone ci credono per paura del loro futuro o semplicemente per protesta contro la cattiva politica degli ultimi anni».

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EPA/Ronald Wittek | Alice Weidel, candidata cancelliere per il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD)

Cosa cambierà dopo le elezioni

A meno di clamorose smentite dei sondaggi, sarà Merz a guidare il prossimo governo tedesco. Il candidato cancelliere della Cdu ha escluso un’alleanza con gli estremisti di AfD ma ha aperto le porte ai Socialdemocratici di Scholz e/o ai Verdi del ministro dell’Economia uscente, Robert Habeck. Per far uscire la Germania dalla crisi economica, il nuovo esecutivo di Berlino potrebbe essere costretto a rimettere mano al tanto discusso Schuldenbremse, il «freno al debito» che obbliga il governo tedesco a raggiungere sempre il pareggio di bilancio, tranne per rare eccezioni. «Qualsiasi modifica dello Schuldenbremse richiederebbe una maggioranza di due terzi, che il prossimo governo non avrà. Il governo dovrebbe collaborare con l’opposizione», osserva Fuest. Secondo il direttore dell’istituto di ricerca Ifo, «è più probabile che il governo cercherà di trovare una maggioranza di due terzi per installare un secondo fondo finanziato dal debito per la spesa per la difesa. Ma anche questo potrebbe essere difficile».

Per quanto riguarda le sorti dell’industria automobilistica, Merz ha sposato la battaglia del governo italiano per eliminare il bando europeo alle nuove auto a benzina e diesel che scatta nel 2035. Questa posizione – e più in generale lo scetticismo del leader della Cdu per le politiche verdi – potrebbe dar vita a uno scontro politico interno alla prossima maggioranza di governo, visto che sia la Spd che i Verdi sostengono le politiche europee per l’automotive introdotte con il Green Deal. Anziché rivedere gli obiettivi europei, secondo il portavoce di Ig Metall, sarebbe il caso di accompagnare l’industria con politiche più efficaci: «Abbiamo bisogno di molti investimenti per accelerare la conversione dell’economia tedesca in un’economia moderna e a impatto zero sul clima». Secondo Schmidt, questo processo passa da «un più rapido sviluppo di energia rinnovabile, infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici o infrastrutture per l’idrogeno», che potrebbero aiutare a risollevare i destini di «un’altra industria fondamentale per l’economia tedesca: quella siderurgica».

Foto copertina: EPA/Gregor Fischer | Il cancelliere tedesco Olaf Scholz nella fabbrica Volkswagen di Emden

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