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Bruno Longhi, Pelé, Berlusconi e Lucio Battisti: «Per parlarci al telefono dovevi fare tre squilli»

25 Febbraio 2025 - 08:12 Alba Romano
bruno longhi
bruno longhi
Lo storico telecronista racconta la sua vita e la sua carriera. E il suo più grande rimpianto: la musica

Bruno Longhi, storico telecronista Mediaset e Tmc, parla oggi della vita e la sua carriera in un’intervista al Corriere della Sera. Partendo dall’immagine di WhatsApp che lo ritrae con Pelé: «Erano i Mondiali del 1994, si trovava nel mio stesso hotel. Amava l’Italia, mi raccontava spesso di quando sarebbe dovuto andare all’Inter prima che chiudessero le frontiere. E poi suonava la chitarra». Longhi è un amante prima di tutto della musica: «È un qualcosa che hai nell’anima. Ho iniziato a suonare il basso non ancora diciassettenne. I Trappers, i 4 Satelliti, poi Flora Fauna & Cemento, tanti gruppi con cui mi pagavo gli studi».

Lucio Battisti

E ha conosciuto bene Lucio Battisti: abitava a 300 metri da lui a Milano. «Con Mario Lavezzi e Sergio Poggi facevo parte della sua stessa casa discografica, la Numero 1. Avevamo un rapporto molto forte, per un anno abbiamo bevuto il caffè alla solita ora e al solito bar. Pagavo io, diciamo che Lucio era molto trattenuto nell’esposizione monetaria… Si incuriosiva alla mia vita. Una volta si chiuse con me in una stanza affinché gli raccontassi del militare che lui non aveva fatto». Conferma che il musicista non amava essere disturbato: «Per parlarci al telefono gli amici più stretti dovevano digitare il numero tre volte. Al quarto trillo rispondeva, era un modo per evitare gli scocciatori. Nel 1970 partecipai a Canzonissima con “Azzurra”. Little Tony ci mise la voce, io la musica, Mogol il testo. C’era una parte che non mi convinceva: “Chiama Lucio”, mi disse quest’ultimo. Da una parte io con la chitarra, dall’altra lui che mi consigliava quali accordi inserire».

La Nazionale Cantanti

È grazie a lui che Mogol ha inventato la Nazionale Cantanti: «Aveva 36 anni e non aveva mai giocato prima. Iniziò a invitare amici, a organizzare tornei dove venivano tutti. Battisti giocava in porta, si presentava con guanti e ginocchiere. Alla prima partita gli feci 4 gol: “A’ De Longhis — americanizzava tutto —, se mi ci metto divento forte”. Ma smise, non era il suo sport». Loghi è stato calciatore nelle giovanili dell’Inter: «Ci ho giocato per due anni, a 11 l’“esordio” a San Siro. Facevo infuriare gli allenatori, ero la classica mezzapunta che cercava il tunnel, perdeva il pallone e non rincorreva l’avversario. Poi mi ammalai per un anno, tre bronchiti di fila. Ricominciai dalla Solbiatese, ma avevo cominciato a suonare in un locale. Non avevo la macchina, arrivavo a casa alle 3 di notte e la mattina dopo sveglia alle 7 per andare a giocare: “Di Pelè ce n’è stato uno solo, lasciamo perdere”, mi dissi».

L’incontro con Berlusconi

Racconta il suo primo incontro con Silvio Berlusconi: «Piero Dardanello, allora capo dello sport al Corriere d’Informazione, doveva realizzare per lui un’intervista a Liedholm in vista di Juve-Milan. Ebbe un imprevisto: “Puoi andare tu?”, mi chiese. Vado a Milanello, la faccio. Mi telefona un uomo di Berlusconi dal fortissimo accento milanese: “La vuole conoscere”. Non sapevo neanche chi fosse: “Ma come? Quello di Edilnord, Milano 2… un grande manager”. “Senta — risposi io — se mi chiede di Mazzola è un conto, ma questo Berlusconi non so proprio chi sia”». Parla anche del suo contratto: «La vecchia TeleMilano si era allargata ed era entrata a far parte di Canale 5. Due anni prima nel frattempo mi ero spostato su Telemontecarlo per commentare i Mondiali messicani. Quando Mediaset mi richiamò, mia moglie mi disse: “Cosa vuoi, 100? Allora chiedilo e ti verrà dato. Non ti sei proposto tu, ti hanno voluto loro”. Fui subito accontentato. Ripensandoci avrei potuto chiedere anche 150…».

La promessa a Mazzola

Poi parla di una vecchia promessa fatta a Sandro Mazzola: «Ero nel suo ufficio. Dovevo intervistarlo, ma a un certo punto la segretaria lo chiama fuori. Sulla scrivania aveva lasciato un foglio su cui era scritta la formazione dell’anno seguente. C’erano Falcao e Giordano, evidentemente i primi obiettivi di mercato. Lui mi fece giurare di non dire nulla a nessuno, promettendomi che mi avrebbe ripagato. Quando prese Rummenigge, lo seppi prima di tutti». Infine, Moratti: «Tutti i sabati pomeriggio organizzava delle partite nella sua villa a Imbersago. Pensavo fosse scarso col pallone fra i piedi, invece aveva un mancino favoloso. E infatti si innamorò di Recoba».

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