Il governo dà battaglia alla Corte Ue per «salvare» l’accordo Italia-Albania. Ma la sentenza sui Paesi sicuri arriverà tra 3 mesi
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È scontro tra il difensore dei migranti portati nei mesi scorsi in Albania e i legali del governo italiano davanti ai giudici della Corte di giustizia dell’Ue, chiamata oggi – martedì 25 febbraio – a esaminare i ricorsi pregiudiziali presentati dal tribunale di Roma. Che finora non ha riconosciuto la legittimità dei fermi disposti per le persone soccorse nel Mediterraneo e trasferite nei centri di Schengjin e Gjader. Nodo cruciale della contesa tra le parti è l’interpretazione del concetto di «Paese terzo sicuro» utilizzato per giustificare il trasferimento nei centri sull’altra sponda dell’Adriatico dei migranti provenienti da Paesi che l’Italia considera sicuri, come Bangladesh ed Egitto, per l’esame delle loro domande d’asilo con procedura accelerata. Una pratica già bocciata dai giudici romani, che ne ha messo in dubbio la legittimità rinviando la questione a Lussemburgo.
Le repliche delle parti
«L’Italia ha tradito i principi di certezza del diritto e di eguaglianza», ha affermato l’avvocato Dario Belluccio attaccando l’interpretazione di Roma del concetto di Paese terzo sicuro e denunciando una distorsione del diritto d’asilo europeo nell’inviare i migranti nei Cpr in Albania. «Il pletorico elenco del governo italiano di 19 Stati qualificati come sicuri contro i 9 della Germania è la dimostrazione lampante della volontà dei governi di piegare i diritti di asilo alle logiche del diritto dell’immigrazione», ha continuato l’avvocato, mettendo inoltre in luce i «veementi attacchi subiti dai giudici italiani» tesi anche «a mettere in discussione il primato del diritto dell’Unione» in fatto di migrazione. «La sicurezza di un Paese», gli ha fatto eco l’avvocato dello Stato, Lorenzo D’Ascia, illustrando la posizione del governo, non deve necessariamente «essere soddisfatta egualmente per tutti gli individui». Non c’è dunque un «concetto di Paese sicuro in senso assoluto, privo di alcun margine di insicurezza personale», ha precisato, evidenziando che si tratterebbe «di una condizione sganciata dalla realtà». È quindi ammissibile «che vi siano – ha indicato ancora il legale del governo – eccezioni al principio di sicurezza» che «possono riguardare anche categorie di persone». L’avvocato ha poi difeso l’uso delle procedure accelerate per l’esame delle domande di asilo, respingendo l’idea che comportino minori garanzie. «Se ci trovassimo di fronte a un flusso migratorio normale e gestibile, e non a un fenomeno epocale come quello che stiamo affrontando in questi anni, i tempi normali delle procedure sarebbero proprio quelli della procedura che oggi chiamiamo accelerata», ha concluso rivolgendosi al presidente della Corte, Koen Lenaerts.
L’assist all’Italia
«La Commissione europea è disposta ad accettare che la direttiva 2013/32» sulle procedure d’asilo «consenta agli Stati membri di designare Paesi d’origine come sicuri» anche «prevedendo delle eccezioni per categorie di persone». A dirlo è l’avvocato dell’esecutivo Ue Flavia Tomat durante l’udienza. Bruxelles dunque evidenzia che le norme «non impediscono di designare un Paese d’origine come sicuro quando la sicurezza non è garantita» nel suo complesso «per determinate categorie di persone», ha spiegato, precisando che questi gruppi devono comunque «essere ben identificabili». Un assist, dunque, all’Italia.
A maggio (forse) la sentenza
Si dovrà aspettare il mese di maggio, o addirittura giugno, per la sentenza dei giudici di Lussemburgo. Le conclusioni sulle cause congiunte legate al protocollo Italia-Albania e alla definizione dei Paesi d’origine considerati «sicuri» verranno presentate dall’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Ue, Richard de la Tour, il 10 aprile. Queste conclusioni non vincolano, però, la Corte anche se, solitamente, la indirizzano. Il suo compito consiste nel proporre, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici europei si pronunceranno poi nel giro di un mese.
I quesiti del Tribunale di Roma ai giudici di Lussemburgo
I quesiti posti dal tribunale di Roma ai giudici di Lussemburgo riguardano due cittadini del Bangladesh che erano stati portati nel centro per il trattenimento e il rimpatrio in Albania. E hanno a che vedere con quattro aspetti di legittimità della normativa italiana in relazione a quella europea. Il primo: «Se il diritto dell’Unione – si legge nel documento – osti a che un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri e a disciplinare i criteri da seguire e le fonti da utilizzare a tal fine, proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro». Il secondo: «Se il legislatore può omettere di rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione», così «impedendo al richiedente asilo di contestarne, e al giudice di sindacarne la provenienza, l’autorevolezza, l’attendibilità, la pertinenza, l’attualità, la completezza, e comunque in generale il contenuto, e di trarne le proprie valutazioni sulla sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione». Entrambi i quesiti hanno origine dalla conversione del decreto interministeriale da parte del governo Meloni che contiene la lista dei Paesi considerati sicuri con una legge vera e propria. Nel terzo quesito, il tribunale della Capitale chiede inoltre se un giudice nazionale nel corso di una procedura accelerata di frontiera può «in ogni caso usare le informazioni sul Paese di provenienza del richiedente asilo attingendole autonomamente dalle fonti qualificate». Il quarto riguarda infine le eccezioni per categorie di persone: «Uno Stato può essere considerato sicuro quando sono presenti gruppi sociali per i quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione». Quella trattata oggi dovrebbe essere una causa pilota in grado di risolvere anche le altre avanzate dai tribunali di tutta Italia.
Foto copertina: ANSA / Valentina Brini | L’udienza davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea sul protocollo Itala-Albania in Lussemburgo, 25 febbraio 2025