La poliziotta transgender picchiata dai tre ultras a Trento: «I colleghi mi chiamano Alessia ma in città mi guardano con disprezzo»
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La poliziotta trans picchiata la notte di San Valentino a Trento dice di sentirsi in pericolo. Perché i tre capi ultras che l’hanno malmenata «sanno dove abito». Per questo ha paura anche dell’intervista che rilascia oggi al Corriere della Sera. Nella quale racconta del suo percorso di transizione e di come l’hanno preso i colleghi e le istituzioni. «Mi chiami Alessia, diventerà questo il mio nome», dice ad Andrea Pasqualetto. Alessia ha 53 anni e da 34 indossa una divisa. La transizione l’ha iniziata «da un anno e mezzo con una psicologa che ha constatato la mia disforia di genere». Nella sua città «c’è chi ti deride e fa la battutina, c’è chi ti considera il peggio del peggio e ti guarda con disprezzo e ci sono quelli che, diciamo così, sognano».
La poliziotta transgender di Trento
Alessia ha ricevuto 22 punti di sutura alla testa, ha il naso rotto e un trauma cranico. La sua prognosi è di 30 giorni. Tutto è cominciato in un bar vicino allo stadio Briamasco di Trento. Tre ultras hanno preso a insultarla e a strattonarla. E quando lei ha dato a uno dei tre uno schiaffo, l’hanno picchata con calci, pugni e uno sgabello. Era «in borghese: avevo una mini, un paio di stivali, la camicia, la borsetta. Ma sapevano di avere a che fare con una poliziotta perché uno dei tre mi conosce e io conosco lui. Loro fanno parte della “Nuova Guardia”, un gruppo di ultrà di estrema destra della curva Mair del Trento. Lo so bene anche perché vado pure io allo stadio, ma alla Sud, in tribuna».
Lo schiaffo
Dello schiaffo dato a uno dei tre si è pentita: «Se guardo a quel che è successo dopo sì, ma era giusto darglielo». E la cosa che le fa più paura non sono «le botte ma la denigrazione. Sto vedendo e sentendo cose che mi feriscono, versioni chiamiamole strane sulla vicenda, non mi chieda altro». Alessia come poliziotta ha un lavoro d’ufficio fuori Trento: «Con i colleghi ho un buon rapporto, che quantomeno non inficia il mio status. In Polizia sto comunque facendo un percorso particolare del quale non voglio parlare per non creare confusioni». Nella transizione è arrivata «la fase più bella e impegnativa, nella quale ho iniziato a prendere antiandrogeni e ormoni…».
Il nome
In ufficio «cercano di chiamarmi Alessia ma non è così semplice per tutti. Io peraltro ho sempre preferito bypassare l’argomento. Ma insomma, da qualche anno era diventato tutto abbastanza evidente: ho le unghie lunghe, sono truccata, mi vesto da donna e lo posso fare visto che non devo indossare praticamente mai la divisa, ho anche un po’ di seno. Poi un giorno l’ho detto chiaro: io sono questa. E loro l’hanno accettato. Dai documenti non risulta ancora perché la fase giuridica non si è conclusa e al momento risulto maschio e poliziotto. Quando il giudice darà l’ok, spero a fine anno, potrò anche fare qualche ritocco estetico, perché così prevede la legge».
La carriera da poliziotto
Alessia racconta che «come agente ne ho fatte un po’. Negli anni Novanta sono stata anche alla Mobile di Milano, ho fatto anche servizio d’ordine allo stadio. Oggi non lo farei più, neppure se mi dessero molti soldi. Questi sono tempi bui per la nostra professione. Le cose stanno peggiorando e non solo per me, avrei paura anche se fossi maschio perché vedo troppa intolleranza… Come ragazzo, come uomo, ero un tipo che piaceva alle donne, ne ho avute tante, ma ero egocentrico, edonista, avevo tutti i difetti di un uomo che riusciva a fare quasi tutto ciò che desiderava. Ho fatto il cretino per anni, poi ho scoperto che volevo altro. All’inizio, quando ho avuto i primi segnali, prima di due anni fa, non è stato semplice, non lo accettavo».