I dazi di Trump non spaventano l’automotive italiano. Vavassori (Anfia): «L’impatto non sarà drammatico. Il lusso è il settore che rischia di più»
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Per il momento non è altro che una minaccia, ma lo spettro dei dazi annunciati da Donald Trump preoccupa (e non poco) i vertici europei. Durante il primo consiglio dei ministri della sua amministrazione, il presidente americano ha annunciato che introdurrà «a breve» dazi del 25% su tutte le esportazioni dei Paesi Ue verso gli Stati Uniti. Una misura, ha precisato, che si applicherà «alle auto e a tutte le altre cose». La svolta protezionistica di Washington arriva in un momento particolarmente delicato per l’industria automobilistica europea, già alle prese con una profonda crisi, ma l’impatto sulle aziende italiane potrebbe rivelarsi meno forte che altrove. «Senza dubbio auspichiamo che i dazi non arrivino, ma l’impatto non sarà drammatico», spiega a Open Roberto Vavassori, presidente dell’Anfia, l’associazione che raduna le aziende di tutta la filiera automobilistica in Italia.
L’impatto limitato sulla filiera auto italiana
Nei primi undici mesi del 2024, le esportazioni delle aziende italiane di componentistica verso gli Stati Uniti ammontavano a circa 1,3 miliardi di euro. Di questi, più della metà (800 milioni circa) riguardava parti meccaniche. «La componentistica del mondo automotive lavora local-for-local. La spedizione è poco conveniente perché pesa fino al 10% del valore stesso del bene», precisa Vavassori. Per quanto riguarda i veicoli fatti e finiti, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato di riferimento per i marchi del lusso, come Ferrari e Lamborghini. Per quel mercato, però, l’effetto rincaro provocato dai dazi non dovrebbe creare grossi danni alle aziende. «Chi decide di acquistare una Ferrari – osserva il presidente dell’Anfia – difficilmente si accontenta di una Corvette solo perché costa un po’ di meno».
La bilancia commerciale tra Usa e Ue
Secondo i dati di Clepa, l’associazione europea dei produttori di componenti automotive, nel 2023 l’Ue ha importato automobili dagli Usa per 9,8 miliardi e ne ha esportate per circa 40,6 miliardi. La bilancia commerciale – ossia la differenza tra importazioni ed esportazioni – pende a favore di Bruxelles anche per quanto riguarda la componentistica e le batterie. Solo sui semiconduttori gli Stati Uniti esportano volumi superiori rispetto a quelli che importano. Tra le aziende americane che esportano verso l’Europa ci sono però anche case automobilistiche del Vecchio Continente. «Il primo esportatore di veicoli dagli Usa verso l’Ue è Bmw, seguita da altri produttori tedeschi. Producono negli Stati Uniti e poi vendono sul mercato europeo», spiega Vavassori.
La crisi dell’automotive europeo e il vero obiettivo dei dazi di Trump
L’impatto dei dazi annunciati da Trump sulla filiera italiana dell’auto potrebbe essere meno sconvolgente del previsto. Eppure, ricorda il numero uno dell’Anfia, ci sono comunque altri problemi con cui il settore si trova a dover fare i conti. «L’industria europea è già alle prese con una domanda di auto stagnante, una sovraccapacità produttiva, la competizione crescente dalla Cina, un’eccessiva regolamentazione europea e gli alti costi dell’energia», fa notare Vavassori. Questa situazione è particolarmente sentita in Italia, dove i livelli di produzione di Stellantis (unico produttore nazionale) sono in caduta libera. «Come dico sempre, siamo nella valle della morte, perché stiamo riattivando gli stabilimenti in vista delle nuove produzioni per sostituire quelle a fine corsa. E anche nel 2025 non ci aspettiamo che la produzione sia in ripresa», spiega ancora il presidente dell’Anfia.
A tutti questi problemi si potrebbero aggiungere presto anche i dazi annunciati da Trump, che sembrano avere un obiettivo molto diverso dalle tariffe imposte dall’Unione europea sulle auto elettriche importate dalla Cina. «In quel caso – precisa Vavassori – si tratta di dazi perequativi, che servono a ristabilire un terreno di gioco livellato per tutte le aziende. I dazi di Trump sono solo una minaccia per ottenere altro». C’è un altro elemento, però, che il presidente dell’Anfia dice di temere ancora di più delle tariffe: «La politica americana sta cercando di usare tutte le leve possibili per destabilizzare importanti produzioni europee, come la chimica, e trasferirle in America, dove l’energia costa meno e la tassazione è più vantaggiosa».
Come dovrebbe rispondere l’Europa?
Agli annunci di Trump, la Commissione europea ha risposto dicendo di essere pronta a reagire in modo deciso. Ma non è chiaro se la strategia di Bruxelles preveda di rispondere ai dazi colpo su colpo oppure di aprire alle richieste di Washington sugli acquisti di gas e f35. «L’Ue deve aprire il portafoglio dell’interscambio, ossia valutare in quali settori bisogna riequilibrare il commercio, e poi insistere per abbassare le tariffe già esistenti, non alzarle. Ma più di ogni altra cosa bisogna rispondere in modo unitario, senza cedere alle gelosie nazionalistiche dei singoli governi», suggerisce Vavassori. E che ruolo dovrebbe giocare Giorgia Meloni per facilitare il dialogo tra Bruxelles e Washington? «Il buon rapporto che la premier ha stabilito con Trump non basta per fare da scudo a tutta l’Europa. Se ben giocato, può risultare utile, ma conviene che ci sia dietro una strategia europea», risponde il presidente dell’Anfia. Nel frattempo, Vavassori giudica positivamente gli annunci arrivati ieri da Bruxelles con il Clean Industrial Deal e il pacchetto di semplificazione Omnibus: «È un piccolo raggio di sole in un cielo molto cupo».
Foto copertina: ANSA/Alessandro Di Marco | Un impianto Stellantis a Mirafiori, Torino