Le ombre sul campione paralimpico Maxime Carabin dalle cartelle cliniche: «Mente sulla sua disabilità, può muovere le gambe»
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Cinque vittorie ai mondiali, due ori paralimpici – nei 100 e 400 metri – a Parigi 2024 nella classe T52, quella dedicata ad atleti paralizzati e tetraplegici. Eppure, secondo la Rtbf, la televisione statale belga, il campione Maxime Carabin non sarebbe in alcun modo affetto da patologie neurologiche e potrebbe tranquillamente muovere le gambe. Secondo alcuni specialisti neurologi, che hanno consultato i referti medici degli ultimi anni, l’atleta belga non avrebbe alcuna lesione al midollo spinale e anzi presenterebbe una «situazione clinica normale». Diversi atleti paralimpici, che hanno gareggiato e perso contro Carabin, avrebbero già chiesto alle autorità sportive internazionali di indagare ulteriormente sulla questione e squalificare il belga. Maxime Carabin, sul suo profilo social, si è difeso con una lunga lettera: «Incapaci di sconfiggermi in pista, hanno scelto di abbattermi calunniandomi».
I tre certificati, i dubbi sulla malattia e la paralisi
La prima classificazione T52 di Maxime Carabin risale al 2022, quando l’atleta aveva presentato al Comitato internazionale olimpico (Cio) il certificato di un neurologo di Liegi che gli diagnosticava la malattia di Hirayama. Una malattia che si sommava alle gravissime conseguenze di un incidente durante una partita di pallamano che, nel 2019, gli aveva tolto l’uso di entrambe le gambe e della mano sinistra. L’idoneità alla classe T52 era poi stata confermata in Svizzera nel 2023 e a Dubai nel 2024. Durante le visite di accertamento, però, il 24enne non sarebbe stato sottoposto ad alcun esame alle gambe o ai piedi. I certificati medici, ottenuti dalla televisione di stato belga e mostrati a specialisti del settore neurologico, non dimostrerebbero la presenza di alcuna patologia assimilabile alla malattia di Hirayama (o amiotrofia monomelica). Anche perché – hanno puntualizzato gli esperti – si tratta di una patologia rarissima che colpisce solo uno dei due arti inferiori. Escludendo dunque la paralisi a entrambe le gambe e alla mano sinistra. In più, i risultati delle analisi neurologiche sarebbero stati assolutamente in linea con i valori di persone senza alcuna disabilità.
September 6, 2024
I controlli mancanti e le accuse degli atleti: «Facciamo quello che vogliamo»
I sospetti sono stati acuiti anche dalle denunce dei suoi diretti avversari in pista, dove Carabin detiene il record mondiale nei 100, 200 e 400 metri piani. Oltre a chiederne l’immediata esclusione da ogni competizione, alcuni hanno criticato la gestione del Cio per quanto riguarda l’assegnamento delle classi paralimpiche. Una situazione pregna di «dilettantismo», che permetterebbe agli atleti di «fare ciò che vogliamo». «Se mi chiedono di muovere un piede e non lo faccio, non compiono ulteriori accertamenti», ha raccontato un atleta, rimasto anonimo. «Stabiliscono semplicemente che il mio piede non sa come muoversi. È semplice».
La difesa di Carabin: «Sono in sedia a rotelle come gli altri. Gli avversari? Mi attaccano perché non sanno battermi»
Consapevole dei sospetti, Maxime Carabin ha deciso di intervenire direttamente con una lettera sui social, scritta in terza persona. «Maxime soffre di una patologia rara e poco conosciuta (amiotrofia monomelica) che ha complicato la sua classificazione iniziale», si legge. Vengono poi ricordati i tre esami di medici competenti che, tra 2022 e 2024, hano permesso a Carabin di ricevere la classificazione T52. «Il mio midollo spinale non funziona più come dovrebbe. La malattia colpisce gravemente i miei arti superiori e gli arti inferiori sono colpiti a cascata. Sono su una sedia a rotelle come qualsiasi altra persona tetraplegica». Per pulire il suo nome dalle accuse, si è anche reso disponibile a «esami supplementari che gli organi competenti decideranno di ordinare». Non ha poi risparmiato due spallate, agli organi di informazione e ai suoi avversari. I primi, secondo lui, hanno «estrapolato» informazioni da una situazione medica più complessa, chiedendo un parere a esperti che conoscevano solo una «parte frammentaria del caso». Agli avversari «delusi», invece, ha risparmiato il veleno più letale: «Incapaci di sconfiggerlo in pista, hanno scelto di cercare di abbatterlo calunniandolo. Una strada ben lontana dai valori promossi nello sport».