Pupi Avati e il nepotismo nel cinema italiano: «Troppi “figli di” e “zie di”»
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Pupi Avati dice che nel cinema italiano c’è troppo nepotismo. E che il regista italiano «è diventato genere di se stesso. I nostri autori non si adeguano, non si abbassano, Sorrentino, che io ammiro, gira i film “alla Sorrentino”, Amelio fa lo stesso. Il genere non si fa più, trovo, poi, che il grande cinema italiano venga oggi tutto dal Sud perché lì c’è ancora l’Italia. Dal Centro al Nord sento, invece, la prevalenza di una nebulosa, una de-personalizzazione, al Sud c’è ancora mistero, convivenza del passato col presente e anche con il futuro», dice oggi a La Stampa.
La mancanza di identità del cinema italiano
Il suo ultimo film è L’Orto americano. E secondo l’86enne fa parte del «cinema italiano esportabile». Ma dice che al Sud c’è ancora mistero: «Ho girato a Napoli un documentario su Benedetto Croce, ho incontrato un signore che, sotto Palazzo Filomarino, insieme ai venditori dei telefonini, vendeva lauree, in matematica e in filosofia. Solo dalle 9 alle 12, si vede che fa dei tali affari che poi è libero di andarsene. Il Sud è ancora creativo, il Centro Nord non più, l’Italia si è svenduta a una mancanza di identità, e questo è doloroso». Il cinema italiano ha poi «attori straordinari, come Elio Germano e tanti altri, però la nostra è una cinematografia accogliente, piena di “figli di”, di “zie di”…. Forse bisognerebbe selezionare, non far lavorare quelli che non sono bravi, creare, magari, un albo professionale», dice a Fulvia Caprara.
Per sempre
Avanti spiega cos’è per lui il “per sempre”: «In questo periodo della vita, che coincide con i titoli di coda, rivedo il mio percorso nel suo insieme e mi rendo conto che, da bambino, immaginavo che le cose durassero per sempre. Poi la ragione mi ha fatto capire che il concetto del “per sempre” è applicabile solo alla morte. Adesso, da anziano, torno a somigliare al bambino che fui. Così si è ri-affacciata nella mia vita l’idea del “per sempre”, legata a quella ragazza incontrata a Bologna di cui ora mi sto innamorando di nuovo. Mia moglie è l’hard disk della mia vita, contiene tutti i miei file. E dire che mi sposò per sfinimento».
Perché lei «era sfinita dal mio corteggiamento, allora andare dietro a una ragazza, farle la corte, significava letteralmente seguirla, aspettare che uscisse di casa alle 5 del pomeriggio, che andasse in cartoleria, poi in merceria, poi da un’amica. Tutto questo con lei che faceva finta di non vedere. Tutti noi avevamo nome, cognome, e indirizzo, dove aspettare la ragazza di cui eravamo innamorati».
La proposta
Infine, Avati parla della sua proposta per il cinema italiano: «In un Paese come il nostro non si possono più concedere budget hollywoodiani, si può fare, però, un cinema che abbia una decenza, con budget contenuti. In questi giorni si parla molto di sale che chiudono, ma anche le produzioni sono in difficoltà. Per questo ho avanzato la mia proposta bipartisan, la creazione un’agenzia per il cinema. Anche il ministro Giuli è d’accordo».