Il grande bluff delle terre rare dell’Ucraina: l’accordo di Trump con Zelensky si fonda su un equivoco
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Rischia di esserci un grosso equivoco dietro l’accordo sulle “terre rare” che gli Stati Uniti vorrebbero imporre all’Ucraina. Domani, venerdì 28 febbraio, Volodymyr Zelensky volerà a Washington per incontrare Donald Trump e ci si aspetta che i due leader finalizzino gli ultimi dettagli dell’intesa. Il presidente americano ha detto pubblicamente che vuole ottenere da Kiev l’equivalente di 500 miliardi di dollari in terre rare, un gruppo di diciassette elementi chimici indispensabili per l’industria tecnologica, la difesa, l’aerospazio e le tecnologie pulite, in particolare per turbine eoliche e pannelli solari. Quella cifra era contenuta in una prima bozza dell’accordo rifiutata da Zelensky e non è chiaro se sarà inclusa anche nella versione finale dell’intesa. Anche perché sullo sfondo resta un problema non da poco con cui la Casa Bianca potrebbe essere costretta a fare i conti: il rischio che l’Ucraina non disponga davvero di quella quantità di minerali.
Lo sbandamento linguistico di Trump sulle terre rare
Il primo equivoco sull’accordo a cui stanno lavorando Stati Uniti e Ucraina riguarda l’oggetto stesso del contendere. Trump ha parlato a più riprese di «terre rare», ma è probabile che abbia usato il termine in modo improprio per riferirsi in realtà ai «minerali critici», un gruppo di materie prime – di cui fanno parte anche le terre rare – che vengono ritenute indispensabile per alcuni settori strategici dell’economia, come la difesa, l’elettronica o la transizione energetica. L’Ucraina, però, non possiede riserve rilevanti di terre rare. Ciò di cui dispone, almeno sulla carta, sono altre materie prime critiche come litio, grafite e titanio. Su queste ultime ha messo gli occhi anche l’Europa, che ha presentato un accordo per lo sfruttamento dei minerali ucraini alternativo a quello offerto da Trump. «Ventuno dei trenta materiali essenziali di cui l’Europa ha bisogno possono essere forniti dall’Ucraina. Il valore aggiunto che offre l’Europa è che noi non chiederemmo mai un accordo che non sia vantaggioso per entrambi», ha affermato il commissario Ue all’Industria, Stéphane Séjourné.
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I dubbi degli esperti sull’accordo Usa-Ucraina
Il probabile scivolone linguistico sulle terre rare non è l’unico ostacolo che rischia di far inciampare Trump. Secondo gli esperti del settore, ci sono buone ragioni per dubitare dell’efficacia dell’accordo che la Casa Bianca vorrebbe strappare a Kiev. «Sorprendentemente, molte persone, tra cui il presidente Trump, sembrano convinte che l’Ucraina abbia una ricca dotazione mineraria. È una follia», ha scritto su Bloomberg Javier Blas, analista di riferimento sui temi energetici e le materie prime. L’esperto fa notare come il servizio geologico statunitense non includa l’Ucraina tra i Paesi che dispongono di giacimenti di terre rare, ad eccezione di qualche piccola riserva di scandio.
L’amministrazione Trump, insomma, potrebbe non aver fatto bene i conti con la geologia. E la cifra ventilata dal presidente americano, ossia quei 500 miliardi di dollari in minerali critici, sembra non avere alcuna aderenza con la realtà. «Il valore della produzione di terre rare nel mondo è di 15 miliardi all’anno», ricorda sempre Blas. Questo, continua il ragionamento dell’esperto su Bloomberg, significa che «se anche l’Ucraina fosse in grado, per magia, di produrre il 20% delle terre rare di tutto il mondo, il valore sarebbe di tre miliardi di dollari all’anno». Per raggiungere quota 500 miliardi, dunque, l’accordo tra Stati Uniti e Ucraina dovrebbe avere una durata di oltre 150 anni.
Di quali materie prime dispone davvero l’Ucraina?
All’origine del grosso malinteso dietro l’accordo sui minerali critici potrebbe esserci proprio il governo ucraino. Il ministero delle Risorse naturali di Kiev sostiene che l’Ucraina detiene circa il 5% delle materie prime critiche presenti nel mondo. Queste stime, però, risalirebbero all’era sovietica e non terrebbero conto anche degli eventuali costi di estrazione. Tra i materiali di cui l’Ucraina potrebbe disporre in grosse quantità ci sono soprattutto: il litio, fondamentale per le batterie elettriche, la grafite, usata per batterie e pannelli solari, il titanio, che trova impiego nel settore dell’aerospazio, l’uranio, materia prima di riferimento per le centrali nucleari, e il gallio, usato per i semiconduttori.
Sulla carta, il potenziale estrattivo è enorme. Nella pratica, scrive Politico, l’entità del patrimonio minerario ucraino è ancora in gran parte un mistero. Il governo di Kiev segnala l’esistenza di oltre 20mila depositi e siti minerari, ma solo 8mila sono stati giudicati effettivamente sfruttabili. Ci sono poi almeno altri due ostacoli con cui bisogna fare i conti. Il primo: servono miliardi di dollari (e forse alcuni anni di tempo) per bonificare il territorio da mine e ordigni inesplosi. Il secondo problema ha a che fare invece con l’ubicazione delle miniere, che in alcuni casi si trovano nei territori orientali dell’Ucraina finiti sotto il controllo di Mosca. Tutte queste incognite, secondo S&P Global, rischiano di rendere l’estrazione di minerali in Ucraina un’attività per niente redditizia.
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Foto copertina: EPA/Samuel Corum | Il presidente americano Donald Trump nello Studio Ovale