Schlein e i malumori riformisti. Malpezzi: «Non voterò mai contro il Jobs act. Sostenere l’Ucraina significa sostenere l’Europa» – L’intervista
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È uno dei temi più divisivi all’interno del Partito Democratico, un autentico “odi et amo”: c’è chi lo ama, chi lo critica, e chi addirittura si è ricreduto. Il Jobs Act, la riforma che tra il 2014 e il 2016 ha ridisegnato il mercato del lavoro italiano sotto la guida del governo Renzi, torna a infiammare il dibattito interno ai dem. Giovedì 27 febbraio, durante la Direzione nazionale del partito, la segretaria Elly Schlein ha annunciato che il Pd sosterrà il referendum contro quella legge, lanciato dalla Cgil. Una posizione ferma, che ha creato qualche malumore tra i riformisti, che difendono una riforma voluta proprio da quello che allora era il segretario del Pd. Il referendum, per cui i cittadini saranno chiamati alle urne (in una data tra il 15 aprile e 15 giugno) pone cinque quesiti: quattro sul mercato del lavoro e uno sulla legge che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. Ne abbiamo parlato con Simona Malpezzi, senatrice del partito, storica riformista dem.
Senatrice, il Jobs act è ancora al passo con i tempi o, come ha fatto notare la segretaria dem, è una riforma ormai datata?
«No, e l’abbiamo sempre detto. Il mercato del lavoro è cambiato a una velocità incredibile, e questo è il motivo per cui non credo che l’abrogazione proposta dai quesiti referendari possa aiutare a migliorare il mondo del lavoro. Molti aspetti del Jobs Act, inoltre, sono già stati superati e svuotati da una sentenza della Corte. Dovremmo concentrarci a parlare e discutere di “futuro” piuttosto che sostenere referendum che riguardano un passato ormai superato».
Ma cosa cambierebbe per i giovani se venisse abrogato il Jobs Act?
«Ritengo che, se dovessimo confrontarci con i più giovani, ci chiederebbero di occuparci della precarietà, dei salari bassi, di un Paese che non cresce e della condizione delle donne nel mondo del lavoro. Ecco, diciamo che metterei questi temi al centro del dibattito, mentre purtroppo oggi rischiamo di concentrarci sul referendum. Questa è la posizione che porto avanti, nel rispetto delle decisioni della direzione. E so di non essere l’unica a pensarla così».
Ha già deciso cosa voterà?
«Io lavorerò per il referendum sulla cittadinanza. Per gli altri ancora non ho deciso se ritirare la scheda o meno. Mi prendo il mio tempo per pensarci, ma non sono favorevole».
Ieri Schlein ha parlato di pluralismo, ma ha evitato di menzionare la libertà di voto. Perché non dirlo chiaramente, come è accaduto in passato?
«Questo non posso saperlo, però a fronte di come è stato posto il tema mi sento molto libera di rivendicare una storia e una stagione passata. Ho molto apprezzato la posizione della segretaria che ha detto di rispettare il pluralismo e le esperienze di ciascuno. La mia storia, infatti, mi porta a riconoscere che il Jobs Act ha introdotto anche una serie di elementi migliorativi nel mondo del lavoro. Tuttavia, tornando alla domanda che mi faceva prima, ribadisco che in un mondo che sta attraversando grandi cambiamenti, le energie dovrebbero essere investite nelle questioni internazionali».
Il Pd non rischia di appiattirsi sulle posizioni del Movimento 5 Stelle? Conte ha sempre criticato il Jobs Act e anche sulle dichiarazioni di sulla guerra in Ucraina Schlein sembrava molto vicina al leader pentastellato…
«Guardi, ritengo che il Partito democratico abbia sempre dimostrato, nonostante le difficoltà, una ferma determinazione nel sostenere l’Ucraina. Anche Schlein ha parlato di Difesa europea. Credo che il nostro obiettivo debba essere quello di essere chiari: noi difendiamo lo stato di diritto e le regole del diritto internazionale, e quindi non può prevalere la legge del più forte. Sostenere l’Ucraina significa sostenere l’Europa e i valori in cui crediamo. L’Europa per come la conosciamo noi è nata per garantire la pace».
Come si può fare un’alleanza con Renzi e i centristi se si cancella tutto quello che è stato fatto quando era al governo?
«Io penso che il Pd debba continuare a fare il Pd. Rimanendo saldamente ancorato all’interno della società: un partito grande che sa espandersi e parlare a tutti i mondi possibili. Credo che la segretaria abbia fatto un ottimo lavoro, riuscendo a coinvolgere molti che prima non ci sostenevano, spostandosi più a sinistra. Ma la cosa più importante è che il Pd resti una casa aperta e attrattiva per tutti. Il resto viene dopo».
Il Pd sta inseguendo troppo la Cgil?
«Penso che il partito debba continuare a fare il partito e il sindacato a fare il sindacato. I ruoli devono essere distinti, ma non intendo parlare di subalternità. Si tratta semplicemente di una chiara definizione dei ruoli».
La dialettica interna al partito sembra piuttosto accesa nell’ultimo periodo. Normale confronto democratico o c’è un po’ di tensione eccessiva?
«No, non sono d’accordo. Penso che, essendo noi l’unico partito che ancora ha una direzione e organismi decisionali in cui si discute, il fatto di raccogliere opinioni diverse e tutelare le storie e le sensibilità differenti non debba essere letto come conflittuale. Al contrario, credo che mai come in questo periodo la conflittualità sia assente. Questo anche grazie all’area più riformista che, avrebbe potuto scegliere la strada dell’opposizione interna , ma ha scelto invece quella della condivisione. Se avessimo voluto adottare una posizione di rottura, per esempio, ieri molti di noi avrebbero votato contro la relazione della segretaria. Invece non abbiamo partecipato al voto: c’è stato rispetto anche per la storia di chi crede che quei referendum siano importanti e significativi. Non giudico la scelta politica della segretaria di firmare i referendum. La comprendo, e per questo so di essere anch’io compresa. Percorsi diversi, storie diverse, sensibilità differenti».