Vietava alla moglie di trovare lavoro e la obbligava a occuparsi dei figli. La Cassazione: «È violenza anche questa»
La Corte di Cassazione ha stabilito che ostacolare l’indipendenza economica del partner, impedendogli di lavorare e costringendolo a occuparsi esclusivamente della casa e dei figli, è una forma di violenza. Con questa sentenza, ha confermato la condanna inflitta a un uomo accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie, costretta per quasi vent’anni – dal 2000 al 2019 – a una condizione di totale dipendenza economica. La Cassazione si è così allineata alla decisione presa in precedenza dai giudici di primo grado e poi d’appello di Torino. Secondo quanto emerso dal processo, l’uomo ha imposto alla moglie un modello di vita domestica rigido, vietandole di intraprendere qualsiasi attività lavorativa o formativa.
Le giustificazioni dell’uomo rigettate dai giudici
Non solo: quando la donna è riuscita a trovare un impiego, l’uomo ha adottato comportamenti persecutori, controllandola costantemente, pedinandola e arrivando anche a irrompere sul posto di lavoro per costringerla a tornare a casa. Tutti questi comportamenti, secondo la Cassazione, sono forme di controllo e coercizione finalizzati a mantenere la vittima in una condizione di sottomissione e vera e propria «violenza economica». L’imputato ha cercato di minimizzare le accuse, sostenendo di aver trascorso lunghi periodi all’estero e che la moglie avesse «scelto autonomamente di non lavorare per dedicarsi alla famiglia». Ha inoltre dichiarato che la donna fosse libera di gestire il denaro per sé e per i figli e ha cercato di ridurre i maltrattamenti a «semplici litigi coniugali».
Giustificazioni insufficienti per i giudici che hanno messo in evidenza il carattere sistematico e «asimmetrico» dei comportamenti «oppressivi, violenti, sessualmente umilianti e controllanti» messi in atto dall’uomo verso la moglie. Per questo, è stato condannato per maltrattamenti.
