Israele e Usa contro il piano su Gaza della Lega Araba: «Avanti con la visione di Trump»


Stati Uniti e Israele bocciano con effetto praticamente immediato il piano «alternativo» sul futuro della Striscia di Gaza elaborato dall’Egitto e approvato ieri dalla Lega Araba. Non è bastato, stando alle prime reazioni, lo sforzo del summit straordinario dei 22 Paesi arabi di disegnare una Striscia senza Hamas – da sostituirsi nei primi mesi con un «comitato di esperti e tecnocrati indipendenti», poi con l’Anp. Né sembra aver smosso le acque la promessa arrivata in contemporanea del vecchio leader Abu Mazen di farsi da parte e far spazio a una nuova leadership (anche nella Striscia) tramite elezioni da indire nel 2026. Al di là dell’opposizione di Israele su una responsabilità dell’Anp sulla futura Striscia, il nodo che divide i Paesi arabi da un lato e Usa e Israele è il destino della popolazione palestinese: impossibile pensare a qualsiasi spostamento forzato dalla loro terra, hanno ribadito i leader della Lega Araba; irragionevole non battere tale strada proposta ormai un mese fa da Donald Trump, ribattono Washington e Tel Aviv. Anche se gli Usa fanno sapere ai partner arabi di essere per lo meno «aperti a ulteriori discussioni per portare pace e prosperità alla regione».
Ricostruire la Striscia (senza Hamas)
«È giunto il momento di avviare un processo politico serio ed efficace che porti a una soluzione giusta e duratura della questione palestinese, in conformità con le risoluzioni della legalità internazionale», ha detto ieri il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi nel presentare il piano al summit convocato al Cairo, cui hanno presenziato pure il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Cosa prevede dunque in dettaglio il piano messo a punto dalla Lega Araba? Innanzitutto il varo di un piano da 53 miliardi di dollari (in cinque anni) per la ricostruzione della Striscia. Nei primi sei mesi il focus sarebbe sulle necessità immediate: rimozione delle macerie, bonifica degli ordigni inesplosi, fornitura di alloggi temporanei. Quindi inizierebbe la ricostruzione, vera e propria, articolata a sua volta in due fasi – fino al 2027 con un budget di 20 miliardi, poi fino al 2030 per altri 30 miliardi di investimenti. La vera svolta del piano riguarda però la governance della Striscia. Nel documento da oltre 100 pagine, si guarda a una Gaza senza più Hamas, per lo meno al potere. Chi governerebbe l’enclave al suo posto? Nel breve periodo – i primi sei mesi – «un comitato amministrativo composto da esperti palestinesi indipendenti e tecnocrati». Poi l’approdo sarebbe però il ritorno dell’Autorità nazionale palestinese. Viene evocata anche la possibilità di una «presenza internazionale nei territori palestinesi», se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu lo ritenesse. Quel che è certo è che la popolazione palestinese dalla Striscia non si muoverà. «Qualunque tentativo odioso di deportare la popolazione o di annettere una parte dei Territori palestinesi farebbe precipitare la regione in una nuova fase di conflitto», ammonisce la Lega Araba nel comunicato finale del vertice.
Abu Mazen «pronto a lasciare» in cambio del controllo di Gaza
Il piano è stato accolto con immediato favore dall’Anp, il cui presidente Abu Mazen si è spinto a dire di essere pronto a lasciare per far spazio a una nuova leadership tramite elezioni da convocare il prossimo anno, «se le condizioni lo consentiranno». Ma anche la stessa Hamas ha fatto buon viso a cattivo gioco approvando il piano della Lega araba, anche per quanto riguarda il «la formazione del Comitato di sostegno per supervisionare gli sforzi di soccorso, la ricostruzione e la governance a Gaza». Ma più tardi, come detto, il piano è stato invece bocciato sia da Israele che dagli Usa. Per il futuro della Striscia la Lega araba «continua a far affidamento sull’Anp e sull’Unrwa: entrambe hanno dimostrato ripetutamente corruzione e sostegno al terrorismo e hanno fallito nel risolvere il problema», è la replica del ministero degli Esteri israeliano, che rilancia invece con entusiasmo il piano di Trump, brandito come «un’opportunità per i Gazawi di scegliere sulla base della loro libera volontà». Nella notte italiana poi un portavoce dell’Amministrazione Trump ha ribadito linea del tutto analoga, sostenendo che il piano dei Paesi arabi «non tiene conto della realtà di Gaza, che è al momento inabitabile», considerato che i suoi abitanti «non posso vivere umanamente in un territorio ricoperto di macerie e ordigni inesplosi». Sul tavolo per la Casa Bianca resta dunque «la visione di Trump di ricostruire Gaza libera da Hamas», anche se gli Usa restano aperti a «ulteriori discussioni per portare pace e prosperità alla regione».
Israele resta in guerra
Intanto in Israele si è svolta questa mattina la cerimonia di passaggio di consegne tra il capo di Stato maggiore uscente dell’esercito, Herzi Halevi, e quello entrante scelto dal governo Netanyahu, Eyal Zamir. «La missione che ricevo oggi è chiara: guidare l’Idf alla vittoria», ha detto Zamir. Lui «è la persona giusta per guidare l’Idf in questo momento. Di fronte a lui, e noi tutti, ci sono sfide immense», ha detto il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar. Mentre restano al momento in un vicolo cieco i negoziati sul prosieguo della tregua a Gaza – ieri Israele ha chiesto la smilitarizzazione della Striscia, condizione respinta al mittente da Hamas – continua ad aleggiare lo spettro della possibile ripresa dei combattimenti. Un piano condiviso per il dopo, d’altra parte, al momento non c’è.
In copertina: Il Re di Giordania Abdullah II e quello del Bahrein Hamad bin Isa Al Khalifa accolti dal presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi al vertice della Lega Araba – Il Cairo, 4 marzo 2025 (Ansa/Epa/Casa Reale di Giordania)