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Salvini insiste: «Non penso che un Macron qualunque possa fermare la pace»

08 Marzo 2025 - 22:24 Ugo Milano
salvini riarmo tajani macron
salvini riarmo tajani macron
Per il vicepremier, con il presidente francese «saremmo già sull'orlo della guerra». Ma la maggioranza è divisa

Del presidente francese Emmanuel Macron, Matteo Salvini non vuole neanche sentire il nome: «Con lui saremmo già sull’orlo della guerra». Non solo è volato a Washington due settimane fa «ergendosi» a portavoce – non richiesto – dell’Unione europea, ma si è fatto primissimo sponsor del maxi piano di riarmo da 800 miliardi di dollari che i leader del Vecchio Continente hanno approvato in via informale giovedì a Bruxelles. Una spesa doppiamente indigesta al Carroccio: perché non andrebbe in direzione della pace e perché rischia – checché ne dica la premier Giorgia Meloni – di intaccare il debito pubblico. Uno sforzo economico che, ha ribadito Salvini da uno dei gazebo allestiti a Bologna vicino a piazza Maggiore, la Lega sarebbe disposta ad accettare solo se rivolta alla sicurezza interna.

Salvini contro tutti: «Macron? Un matto. E von der Leyen si alza la mattina e decide di fare debito»

«Non penso che un Macron qualunque possa portare la pace», ha continuato a insistere Salvini sulla sua linea fortemente anti-parigina. Anche perché di pace discute chi ha davvero le carte in mano, vale a dire«Zelensky, Trump e Putin». Che l’inquilino dell’Eliseo, o meglio «il matto», non sia tra i preferiti del vicepremier non è un segreto. Così come non gode di grande considerazione neanche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: «Non può alzarsi dalla sera alla mattina e dire: “Facciamo debito pubblico per comprare missili”». Poco importa, alla fine, se due giorni fa la stessa premier italiana Giorgia Meloni nel punto stampa da Bruxelles ha presentato come grande vittoria italiana il fatto che i leader europei abbiano escluso i fondi del piano «ReArm Europe» dal computo deficit-Pil. Certo, i rischi che le tranche da 150 miliardi «vadano a intaccare il debito» le ha ravvisate anche Meloni, che però è sembrata fiduciosa di poter portare con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti una proposta che aggiri questo ostacolo.

Maggioranza divisa, Tajani: «Sì al riarmo, ma chiamatelo sicurezza»

Salvini è però ben più intransigente. Ed evoca lo stesso Giorgetti, che sulla difesa comune europea ha predicato calma in attesa di capire meglio – nella riunione con gli omologhi dei prossimi lunedì e martedì – come quegli 800 miliardi impatteranno sul bilancio dei Paesi membri e sul Patto di stabilità. «Fino a ieri dicevamo che no si può fare debito per aumentare le pensioni. E ora?», ha attaccato Matteo Salvini da Bologna. Ma almeno a parole si è mantenuto allineato al resto della maggioranza, che sulle armi la pensa in maniera dissonante: «Sono convinto che Meloni abbia e avrà la stessa posizione nei tavoli a Bruxelles». A dimostrarlo è l’altro vicepremier, Antonio Tajani, che da Ancona ha difeso a spada tratta il «ReArm Europe», insistendo – come aveva fatto giovedì la premier – perché si lasci perdere il termine “riarmo” e si parli invece di “sicurezza”. «Lo voglio spiegare a coloro che pensano che al governo ci siano due guerrafondai, in modo particolare il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri», vale a dire lui stesso.

La mano tesa di Tajani a Salvini

Dopo le discordanze degli ultimi giorni, però, è proprio Tajani a fare il primo passo verso il collega e alleato Matteo Salvini. «Le nostre forze armate, la sicurezza nelle nostre stazioni e per garantire alle nostre donne di poter viaggiare e muoversi tranquillamente», questi alcuni possibili utilizzi del piano europeo di riarmo. Tutti orientati – elemento gradito al Carroccio – alla sicurezza interna: «Così la Lega è disposta a spendere soldi», ha confermato Salvini. I prossimi passi saranno i più delicati. Tra lunedì e martedì, mentre in Arabia Saudita le delegazioni ucraina e statunitense si siederanno al tavolo, i ministri delle Finanze e della Difesa europei si confronteranno sulle conseguenze del «ReArm Europe». Poi il 20 e il 21 marzo sarà la volta dei leader dei 27 Paesi dell’Unione, nel tentativo di tracciare con più certezza la strada futura.

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