Adolfo Porry Pastorel, il fotoreporter che faceva infuriare Mussolini: il primo a far pubblicare un’immagine su un quotidiano, re degli scoop


Quel giorno Benito Mussolini aveva intenzione di stupire Adolf Hitler mettendo su una sceneggiata al porto di Napoli per fare vedere al dittatore tedesco la forza della marina militare italiana. Insieme a Vittorio Emanuele III, re di Italia, il duce fece salire Hitler a bordo della corazzata Cavour per mostrare lo spettacolo della parata della regia Marina militare. Salendo sulla scala a bordo Mussolini vide infastidito un fotografo con in mano la sua Leica che non faceva parte del gruppo degli operatori autorizzato dell’Istituto Luce: «Sempre il solito fotografo», esclamò Mussolini. E l’altro, per nulla intimorito, rispose al volo: «Sempre il solito presidente del Consiglio!».
Il fotografo tollerato ma non amato da Benito Mussolini
Non era la prima volta che la gag andava in scena fra i due, e proprio quella sorprendente libertà di scatto che in qualche modo era stata tollerata dal regime fascista fece appioppare ingiustamente sulle spalle del mago della Leica, Adolfo Porry Pastorel, il soprannome di “fotografo del Duce”. Perché se tante fotografie di Mussolini che conosciamo erano state scattate da lui, Porry Pastorel non fu il fotografo ufficiale del Duce. Tollerato sì, ma non cercato. E spesso insultato per la sfrontatezza con cui apriva il suo obiettivo cogliendo Mussolini in pose imbarazzanti (come quella volta che scattò mentre faceva pipì su un cespuglio). E poi negli anni più bui della Seconda guerra mondiale fu invece davvero il fotografo della Resistenza, mettendo la sua grande abilità di sviluppatore e stampatore al servizio delle staffette rifornite di documenti falsi. Lo fa capire con chiarezza il docufilm Controluce di Tony Saccucci, accolto con favore in autunno al Torino Film Festival e vincitore il 10 marzo 2025 dell Nastro d’Argento per il migliore docufilm dell’anno.
Fu Porry a convincere per la prima volta un giornale a pubblicare una foto
Il film di Saccucci ha il merito di portare alla luce la storia di uno dei più straordinari giornalisti e fotografi italiani, che è stato anche il padre dei futuri paparazzi pure avendo deciso di appendere la macchina fotografica al chiodo nell’immediato dopoguerra. Vero che la storia di Porry Pastorel fu intrecciata a quella di Mussolini. Per un caso: fu lui a scattare la famosa fotografia dell’arresto dell’allora militante socialista insieme a Filippo Tommaso Marinetti l’11 aprile 1915 in piazza Barberini a Roma, durante una manifestazione sull’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Adolfo, che aveva appena 27 anni, fu lesto a scattare e a correre a sviluppare nel suo ufficio di via del Pozzetto e l’immagine fu subito acquistata e pubblicata. D’altra parte era stato proprio Porry Pastorel a convincere anni prima il direttore di un giornale (Il Messaggero) della possibilità di sostituire i tradizionali disegni pubblicati con una vera fotografia. E cambiò in quel modo la storia della stampa italiana.
Lo scatto a Latina che prendeva in giro la messinscena del Duce
Mussolini fu certo uno dei soggetti più ripresi da Porry Pastorel nei decenni successivi, anche perché la stampa cliente quelle foto chiedeva. Ma le sue non erano foto in posa, né immagini costruite per la propaganda. Anzi. Il suo motto era: «Per ottenere le foto perfette del Duce bisogna farlo infuriare». E ci riusciva spesso ottenendo scatti che oggi sarebbero piaciuti molto ad Umberto Pizzi. Oppure Adolfo tradiva la messa in scena propagandistica. Come il giorno di Mussolini e il grano, con il duce issato su una trebbiatrice in posa da agricoltore. A Porry Pastorel bastò allargare il campo della sua macchina fotografica per fare vedere la vera ambientazione: non c’era nessun contadino a festeggiare il duce, come si sarebbe visto invece nelle foto di propaganda del regime. Ma sei macchine da presa, 10 fotografi e i tecnici delle luci per una immagine che più finta non poteva essere. L’unico scatto vero fu quello del set ripreso da Porry.

Dalla marcia su Roma al ritrovamento del corpo di Giacomo Matteotti
Adolfo fui dunque tutt’altro che il fotografo di Mussolini, assai lontano dall’etichetta che gli avevano appioppato i colleghi invidiosi della sua libertà di scatto. E come dice lo stesso regista del film, Saccucci, «la sola domanda se lui fosse o meno il fotografo del Duce è insensata. Sarebbe come chiedere se La Sapienza, costruita nel 1935, sia o no l’università di Mussolini». Il film, infatti, non risponde volutamente a questo quesito, ma racconta uno dei personaggi più affascinanti e dimenticati di quegli anni. Prendendo spunto anche dalla biografia di Porry Pastorel scritta da Vania Colasanti, figlia di Livia che conobbe il fotografo fin da bambina e ne avrebbe poi custodito l’archivio, zeppo di scatti, di lettere, di documenti e perfino dei bigliettini di amore che inviava quasi ogni giorno a Franca, la ragazza che all’iniziò lo stregò e poi sarebbe diventata sua moglie, confidente e perfino collaboratrice professionale. Ma portano tutti la sua firma gli scatti che hanno fatto la storia del fascismo: quelli a Napoli per la partenza della Marcia su Roma come quelli – unici – del delitto Matteotti. Fu lui a fissare l’immagine del luogo del rapimento a poco dal tragico evento e il solo ad arrivare sul posto e documentare il ritrovamento del corpo del socialista trucidato dal fascismo.
Il trucco di marketing per essere sempre il primo ad arrivare sul posto
Vale la pena di vedere il film che forse arriverà nelle sale o forse sarà destinato alle piattaforme televisive dal Luce che l’ha prodotto (la decisione non è ancora presa). E vale la pena pure prendersi in mano Scatto matto, il racconto della vita di Porry Pastorel scritto dalla Colasanti, corredato di scatti d’epoca conservati gelosamente nell’archivio di famiglia. Perché la vita di Adolfo è un vero romanzo, sia per la sua storia professionale che per la sua vita privata. Era anche bravo nel marketing, perché era il solo mezzo per fare crescere la sua piccola impresa, la sua “Foto Vedo Roma”, poi agenzia fotografica indipendente che è riuscita a difendere la sua originalità e la sua autonomia anche durante il ventennio fascista, con il rifiuto ostinato di chiudere i battenti e andare a lavorare al Luce. Porry Pastorel bruciava tutti anche sui fatti di cronaca. E riusciva ad arrivare prima degli altri proprio grazie al marketing che aveva introdotto. Regalava alle signore che contavano nella capitale in cambio della soffiata giusta uno specchietto da borsa. E vi aveva fatto incidere tutto intorno «Avvenimenti di cronaca. Telefonare subito al 15-66. Porry Pastorel fotografa ovunque tutto». A poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco e vigili urbani aveva regalato invece un orologio da polso che si era fatto costruire appositamente in Svizzera, con inciso al centro il nome della sua agenzia e il numero di telefono. In cambio un piccolo favore: quando capitava qualcosa, occhiata all’orologio e telefonata al fotografo che si sarebbe precipitato lì nei primi anni con la sua macchina fotografica Goerz e poi con la più maneggevole Leica.
Quella volta che bruciò i colleghi del Luce grazie a due piccioni viaggiatori
Grazie a quella sapiente rete di rapporti Porry Pastorel portava a casa sempre uno scoop. Ma riusciva a bruciare la concorrenza anche quando viaggiava in gruppo per eventi ufficiali. Come quando a bordo della corazzata Cavour con Mussolini e Hitler, fece i suoi scatti durante la parata della Marina militare insieme ai colleghi del Luce. Poi finse un malore, si ritirò in cabina della nave dove aveva portato con sé una scatola di vernice nera per sviluppare i rullini. Estrasse i fotogrammi e li legò alle zampine di due piccioni viaggiatori che aveva allevato. Quelli partirono subito velocissimi verso la piccionaia di piazza Zama a Roma dove li attendeva la moglie del fotografo, Franca. Quando Mussolini scese dalla Cavour insieme a Hitler trovò sul molo gli strilloni del Giornale di Italia con in prima pagina le foto di quel che era avvenuto, che i colleghi di Porry Pastorel avevano ancora nei loro rullini.

L’uomo chiave per falsificare documenti per la copertura di ebrei e antifascisti
Di scoop e foto passate alla storia ce ne sarebbero stati tanti, e l’unico dolore del grande fotografo fu quello di non potere lasciare la sua agenzia al figlio Alberto, che partì militare in Russia senza mai più tornare, disperso «con le scarpe rotte» come tanti altri. Anche per quel motivo decise di diventare nella Roma occupata dei nazisti uno dei punti di riferimento del “Centro X”, il fronte militare degli antifascisti. E la sua agenzia “Vedo” divenne fondamentale per falsificare documenti di identità, tessere e lasciapassare destinati agli ebrei e ai resistenti. E riprese in mano la sua macchina fotografica il 4 giugno 1944, quando i carri armati americani entrarono in Roma per liberarla dai nazisti sventolando bandiere a stelle e strisce. Sono molti i suoi scatti divenuti famosi nella capitale liberata con la vita pubblica che lentamente tornava alla normalità e la cronaca dei tempi di pace che lo occupava.
A Castel Pietro Romano fece girare «Pane amore e fantasia» (e oggi pure Checco Zalone)
Gli ultimi anni della sua vita (sarebbe morto il primo aprile 1960, il giorno in cui dallo spazio fu trasmessa la prima foto della luna), Adolfo Porry Pastorel chiuse l’agenzia fotografica che non poteva lasciare a nessuno e si trasferì in un paesino in provincia di Roma, a circa 40 km dalla capitale, non lontano da Tivoli: Castel San Pietro Romano. Ne fu eletto sindaco, e non se ne rimase con le mani in mano. Fu lui a convincere Luigi Comencini e Vittorio De Sica che quel paese così simile al borgo d’Abruzzo che stavano cercando era il posto ideale per girare Pane, amore e fantasia con lo stesso De Sica nei panni di un maresciallo dei carabinieri e una giovane e incantevole Gina Lollobrigida nei panni di “Pizzicarella la Bersagliera”. Castel San Pietro Romano è restato «paese del cinema». Tanto è che proprio lì è stato girato il video ironico di Checco Zalone sull’«ultimo giorno del patriarcato» in occasione dello scorso 8 marzo. Ed è proprio il paese ad apparire nelle foto che chiudono il racconto del docufilm di Saccucci, denso delle immagini vere scattate dal Porry Pastorel interpretato nella parte di film dal giovane Michele Eburnea. Saccucci non è nuovo a docufilm sulla storia di quegli anni. Tra i tanti girati infatti il Pugile del Duce, storia di Leone Jacovacci, il pugile nero che vinceva tutto e metteva in imbarazzo il fascismo; e La Prima Donna, che ha narrato la tragica vita di Emma Carelli, soprano a cavallo del primo Novecento, che rilanciò e diresse il teatro Costanzi, divenuto poi il Teatro dell’Opera di Roma.