Cibo, turismo, e sanità: l’Italia fa il pieno di occupati (a tempo indeterminato), ma gli stipendi restano inadeguati


Sanità e assistenza sociale, alloggi e ristorazione, viaggi e attività scientifiche e tecniche sono tra i settori che negli ultimi dieci anni hanno attratto più occupati. A perderne, rivela un’analisi pubblicata sul Sole 24 Ore basata sui dati del registro imprese dell’Inps, sono principalmente banche, assicurazioni, immobiliare, legno e moda. Lo studio evidenzia che in generale a livello occupazionale la pandemia risulta completamente superata. Rispetto a dieci anni fa, i lavoratori sono 2,6 milioni in più, a fronte di 128.626 imprese in meno. Cresce, dunque, seppur di poco anche la dimensione delle aziende.
I settori che cambiano di più
In particolare, le imprese attive nella sanità e nell’assistenza sociale hanno registrato un aumento di 272 mila lavoratori, mentre il settore dell’alloggio e della ristorazione ha visto una crescita di 532 mila unità. Anche le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese hanno guadagnato 549 mila lavoratori. La manifattura ha segnato un saldo positivo di 233 mila addetti, trainata dai comparti alimentare (+69mila), chimico (+16mila) e farmaceutico (+12mila). Invece, il settore della moda e del legno ha perso oltre 53 mila posti di lavoro. In difficoltà anche il settore immobiliare, con una riduzione di 24 mila lavoratori, e quello finanziario e assicurativo – tra i pochi nei servizi a scendere – che ha perso circa 20 mila addetti.
«La stabilità in cambio di paghe basse»
Dunque, crescono i servizi (+6% nel terziario) i contratti sono perlopiù stabili, ma – evidenzia Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro all’Università Bocconi – le retribuzioni restano inadeguate. È come se la stabilità del lavoro fosse stata scambiata con paghe troppo basse, fa notare l’esperto. Oltre al tema degli stipendi, l’Italia deve fare i conti con l’inadeguatezza di alcune fasce dei lavoratori. Se il terziario è il settore che più impiega, ne traggono vantaggio i laureati, che passano dal 23% degli occupati del 2018 al 25% del 2023. Ma rischiano di rimanere indietro i lavoratori meno qualificati. Questi ultimi, avverte Paola Nicastro, presidentessa e amministratrice delegata di Sviluppo Lavoro Italia, devono essere adeguatamente formati per non essere tagliati fuori. Inoltre, le Pmi devono fare rete per evitare di trovarsi scoperte nel momento di investire.