La Groenlandia al voto tra le minacce di Trump e la voglia di indipendenza: cosa può cambiare dopo le elezioni


Per la prima volta nella storia recente, gli occhi di tutto il mondo – o perlomeno di una buona parte – sono puntati sulla Groenlandia. Domani, martedì 11 marzo, i circa 56mila abitanti dell’isola sono chiamati a rinnovare il proprio parlamento in un voto che viene considerato cruciale per il futuro del Paese, che fa parte della Danimarca ma gode di una discreta autonomia. Ad accendere il dibattito pubblico sono state soprattutto le mire espansionistiche di Donald Trump, che ha descritto il controllo della Groenlandia come «un’assoluta necessità» per gli Stati Uniti e ha minacciato di essere pronto a ottenerlo «in un modo o nell’altro», arrivando addirittura a non escludere un intervento militare.
La voglia di indipendenza della Groenlandia
La Danimarca ha colonizzato la Groenlandia circa trecento anni fa e continua ancora oggi a esercitare il controllo sulla politica estera e di difesa. Dopo la seconda guerra mondiale, l’isola è diventata via via più indipendente: nel 1979 l’isola ha ottenuto l’autogoverno e dal 2009 gode di ampi margini di autonomia anche per quanto riguarda la politica interna. L’economia della Groenlandia dipende essenzialmente dalla pesca e da poche altre industrie, il che rende indispensabili i circa 580 milioni di euro che l’isola riceve ogni anno dalla Danimarca sotto forma di sovvenzioni.
Perché Trump vuole la Groenlandia
L’indipendenza dalla Danimarca è un tema di cui si torna a parlare ciclicamente e i commenti di Trump non hanno fatto altro che riaccendere i riflettori sulla questione. «Il nostro desiderio è diventare indipendenti un giorno, ma la nostra ambizione non è passare dall’essere governati da un Paese a un altro», ha detto di recente Erik Jensen, ministro delle Finanze groenlandese, in risposta alle mire espansionistiche di Washington. Il rinnovato interesse di Trump per il controllo della Groenlandia ha spinto quasi tutti i partiti politici verso posizioni filo-indipendentiste, compresi quelli che fino a pochi anni fa chiedevano di rimanere sotto il controllo danese.
Le mire coloniali di Usa, Cina e Russia
L'interesse degli Stati Uniti per l'isola nasconde in realtà grossi interessi economici e geopolitici. La Groenlandia è infatti ricchissima delle cosiddette materie prime critiche, ossia di quei minerali e metalli considerati essenziali per il settore tecnologico e per la transizione energetica. Si stima che le riserve sotterranee groenlandesi contengano 43 dei 50 materiali che il governo americano considera critici e 25 dei 34 su cui ha messo gli occhi l'Unione europea. L'estrazione di questi materiali, che si trovano sotto spessi strati di ghiaccio, rappresenterebbe un'importante fonte di entrate per il governo della Groenlandia, che potrebbe pensare di utilizzare i ricavi delle miniere per sostituire i già citati 580 milioni di euro che ogni anno riceve dalla Danimarca. Quelle stesse miniere sono ambite anche dalle principali potenze mondiali, a partire da Stati Uniti, Russia e Cina.
Ma c'è un'altra peculiarità della Groenlandia che fa gola a Washington e Pechino. L'isola, che è coperta per l'80% da ghiaccio ed è in gran parte inabitabile, si trova infatti in una posizione particolarmente strategica dell'Atlantico settentrionale. Il riscaldamento globale sta accelerando la fusione del ghiaccio e potrebbe aprire nuove rotte navali altamente profittevoli dal punto di vista commerciale. Cina e Russia non hanno mai fatto mistero di essere interessate ad approfittarne. La novità è che con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca gli Stati Uniti sono diventati il Paese che minaccia in modo più esplicito di voler assumere il controllo dell'isola.
Il presidente americano ha ripetuto in più occasioni di essere pronto a comprare la Groenlandia o, qualora la Danimarca di rifiutasse di venderla, di arrivare a controllarla «in un modo o nell'altro». Le mire espansionistiche di Cina, Russia e Usa hanno spinto il governo danese ad annunciare un aumento della spesa destinata a difendere la Groenlandia e la regione artica. Non solo: il rischio di interferenze straniere ha convinto il parlamento groenlandese ad approvare una legge che vieta le donazioni anonime e provenienti dall'estero per la campagna elettorale.

Chi sono i candidati in campo per le elezioni
L'attuale governo della Groenlandia è guidato da una coalizione composta da due partiti: Inuit Ataqatigiit (il partito ambientalista di sinistra di Múte Bourup Egede, premier uscente, che vinse nel 2021) e Siumut (un partito socialdemocratico che per lungo tempo si è dichiarato unionista, ossia favorevole a restare sotto il controllo della Danimarca, ma che oggi si è spostato su posizioni più filo-indipendentiste). Secondo i sondaggi, i due partiti di governo resteranno i due più votati ma vedranno le loro percentuali scendere: dal 37% al 31% per Inuit Ataqatigiit, dal 29% al 21% per Siumut.
A beneficiare dell'impopolarità del governo uscente, scrive Euronews, saranno soprattutto due partiti: Demokraatit e Naleraq. Il primo è un partito di centrista e filodanese che i sondaggi danno al 18%. Il secondo è un partito fortemente indipendentista che per le elezioni dell'11 marzo ha candidato Qupanuk Olsen, la più famosa influencer della Groenlandia. Olsen ha detto di considerare positivamente l'interesse di Trump per l'isola e non ha escluso una collaborazione con gli Stati Uniti, qualora vincesse le elezioni.
February 19, 2025
Foto copertina: EPA/Mads Claus Rasmussen