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Lucio Corsi, l’Eurovision e la musica: «Fare questo fino alla morte? Non ci metto la mano sul fuoco. E la famiglia non mi interessa»

11 Marzo 2025 - 18:03 Ugo Milano
lucio corsi
lucio corsi
In un'intervista a Vanity Fair, il secondo classificato a Sanremo ha parlato della sua infanzia, del suo amore per la musica e della vicinanza a Valentino Rossi. E ha confessato di «non essere innamorato»

Fare il cantate per tutta la vita? Per ora sì, ma «non ci metto la mano sul fuoco che voglio fare questo fino alla morte. Magari da un giorno all’altro io cambio idea, smetto e faccio altro». Dopo il successo nel microfono – dal secondo posto di Sanremo con Volevo essere un duro al tour sold out alla prossima partecipazione all’Eurovision – rimane un po’ di tempo per l’amore e la vita sentimentale? «No, sto pensando al lavoro, ora sento il bisogno di stare libero e fare quello che mi pare». In una lunga intervista rilasciata a Vanity Fair, il cantautore Lucio Corsi ha ripercorso velocemente la sua vita. Dall’infanzia a Grosseto alle prime esperienze di musica fino alle prime performance per le strade di Milano. Senza dimenticare quell’Eurovision che occupa il suo futuro prossimo – «È la mia prima volta su un palco estero» – e il presente, in cui uno spazio per una sua famiglia al momento non c’è: «Non ho voglia. Magari accadrà, ma non lo so, è una cosa che non mi interessa tanto».

L’infanzia e l’amore per il metal

Nelle campagne di Grosseto, l’incontro con la musica è avvenuto abbastanza presto: «La passione è stata subito la chitarra. Avevo 11 anni, poi ho preso sei anni di lezioni». Il piano invece? «Lo suonavo con la nonna paterna, mi sono divertito come un matto». Anche perché, ci tiene spesso a ricordarlo, lì dalle sue parti «era un po’ isolato, ho avuto tanto a che fare con la noia». La ricetta migliore per avvicinarsi alla musica e farla entrare nelle proprie vene. Anche se si tratta di un genere completamente opposto rispetto al suo più classico folk: «Ho ascoltato rock, metal anche: gli Iron Maiden, i Pantera… Ne vado fiero, anche se quando suonavo cercavo di fare progressive rock». Una giovinezza divisa tra la passione per il disegno, per le corde della chitarra e la scelta di frequentare il liceo scientifico: «Perché? Ero matto».

La musica per le strade di Milano

E non è un caso che, dopo il biennio, la musica prende il sopravvento: «Ho conosciuto Giulio Grillo, che suonava l’organo Hammond. Lui aveva questo gruppo prog con Jack al piano, Marco alla batteria: sono i ragazzi che suonano con me tuttora», ha raccontato. «Mi gasavano da morire, ma mi facevano anche un po’ di paura perché erano più grandi». La musica diventa così la strada maestra: Lucio Corsi va a Milano («Provai l’Accademia di Brera») e inizia a suonare per strada e «nei localetti». Una scelta decisa che la famiglia impiega u po’ a digerire del tutto: «I miei all’inizio erano scettici, ci è voluto tempo… Però, quando hanno visto che lo facevo davvero con tutto l’impegno possibile e la serietà del caso, mi hanno aiutato e dato fiducia. È una cosa rara, sono molto fortunato». E proprio per le strade del capoluogo lombardo il cantautore ha imparato a essere magnetico con la sua musica: «Non devi solo fermare le persone, devi farle restare e non è per niente scontato. Con la cassa al piede e la chitarra cercavo di incuriosire».

L’amicizia con Ottomano e il progetto Eurovision

Amico stretto, nonché colonna per Corsi fin dal suo arrivo a Milano, è Tommaso Ottomano. Coautore, fotografo, regista dei videoclip, wingman, e «fratello dal giorno uno a livello di musica e di idee e di amicizia». Ma dalle strade di Milano al successo post Sanremo, sono passati anni lunghi in cui il cantautore toscano ha girato l’Italia da solo: «Stavo bene, la solitudine secondo me è bellissima. Credevo molto in quello che facevo, anche senza il boom di Sanremo sarei andato avanti: è ciò che più amo fare in questo momento della mia vita». Anche se, altro cavallo di battaglia di Corsi, tutte le porte rimangono spalancate: «Spero di cambiare, di non diventare quello che mi ero prefissato. Spero di sorprendermi, sennò che noia…». Anche a livello professionale: «Non metto la mano sul fuoco che voglio fare questo fino alla morte». Riguardo all’Eurovision anticipa: «Andremo come abbiamo fatto a Sanremo, come siamo in questo momento. Non voglio raccontare frottole».

Lucio Corsi, Valentino Rossi e il «far west» della Toscana

E nei suoi testi di cosa parla? Di tutto: futuro, presente, passato. Storia personale «mescolata con storie di altre persone», con lo scopo di «reinventare» tutto e «meravigliarmi». Una meraviglia di entrambi i segni, positiva e negativa: «Mi immagino il mondo come mi piace e come non mi piace. A volte mi invento delle cose che mi fanno paura, e poi dico: “Ah meno male, sono passate”». Per questo nelle sue canzoni non c’è spazio per la politica: «Se parlassi in termini puramente politici nelle canzoni, dovrei avere un impegno quotidiano e costante in quelle battaglie. Mi sentirei davvero un impostore se lo facessi senza avere questo impegno». Più vicino alle sue canzoni c’è un idolo di Corsi, Valentino Rossi: «Abbiamo in comune l’aria. La musica vive nell’aria e non ha corpo, la velocità vive nell’aria e la sfrutta, cerca anche di ingannarla. I piloti lottano contro il tempo in un circuito, io non amo il passare del tempo. Mi fa paura». Ma andare veloce non è nelle corde di Lucio Corsi: «Sto nel Far West, circondato da alberi che si scavano la fossa proprio lì dove sono nati. Esempi per rimanere coi piedi per terra ne ho. Se non succede, mi telefoni».

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