Giorgia Meloni vuol cambiare nome al piano di riarmo Ue: «Si chiami Defend Europe». E sugli 800 miliardi Von der Leyen finisce sotto tiro – I video
«Il concetto di difesa in Europa è un concetto un tantino più ampio della parola riarmo. Credo che la parola riarmo non sia la parola adatta per parlare di quello che stiamo facendo». Giorgia Meloni lo aveva detto ai colleghi europei, presente anche Ursula von der Leyen, già al Consiglio europeo di giovedì scorso chiamato a discutere a caldo il piano della Commissione per rilanciare le capacità di difesa Ue. «Forse stiamo dando dei messaggi che per i cittadini non sono chiarissimi, bisogna insieme chiarire che cosa stiamo facendo», aveva fatto appello la premier, ricordando come la difesa «oggi è un concetto che riguarda moltissimi domini della vita quotidiana dei cittadini»: non solo questione di armi e munizioni, ma pure di materie prime, cybersicurezza, infrastrutture critiche, e così via. Qualche giorno di riflessione e ora Fratelli d’Italia traduce in proposta concreta quelle perplessità. Il piano della Commissione cambi nome: non più “ReArm Europe”, titolo respingente per le opinioni pubbliche e «imbarazzante» politicamente – per lo meno per Meloni – ma “Defend Europe“. La proposta è stata annunciata stamattina in Aula a Strasburgo dal co-presidente di Ecr Nicola Procaccini, e contemporaneamente depositato sotto forma di emendamento al piano oggi in discussione al Parlamento europeo. «Non si tratta di una questione nominalistica ma di sostanza», spiegano per FdI i firmatari Carlo Fidanza, Elena Donazzan e Alberico Gambino.
Von der Leyen alla prova del Parlamento Ue
Per far strada, l’emendamento dovrebbe ovviamente trovare il sostegno di altri gruppi politici. Meglio ancora se fosse direttamente «adottato» dalla Commissione stessa. Per il momento, von der Leyen resta legata allo slogan assai concreto di ReArm Europe, il piano con cui – ha ribadito in Aula stamattina – l’Ue può e deve dimostrare di essere all’altezza della sfida storica posta da Donald Trump (mai citato direttamente) e Vladimir Putin. «La pace non può più essere data per scontata. Questo è è il momento della pace attraverso la forza. È il momento di una difesa comune», ha detto von der Leyen, aprendo il suo discorso con una citazione di Alcide De Gasperi. Un messaggio proprio ai leader politici italiani, tanto freddi sul piano – da Meloni a Salvini, da Schlein a Conte sino allo stesso Renzi? Di certo in Aula von der Leyen ha incassato il sostegno di massima sulla risposta alla sfida storica di tutti i principali gruppi politici – dal Ppe ai Socialisti, dai Liberali ai Verdi fino a Ecr – ma s’è anche vista muovere una serie di rilevanti critiche. Anche dai suoi più stretti alleati.
Il piano Ue che non è europeo
Per quasi tutti i partiti europei, in sostanza, il piano della Commissione non ha una dimensione sufficientemente europea. Degli 800 miliardi di euro messi «virtualmente» sul piatto, ha riassunto per tutti la leader di Renew Europe Valérie Hayer, solo i 150 del fondo Safe sono davvero europei. Tutto il resto sono stimoli a investimenti nazionali, grazie alla clausola di salvaguardia dal Patto di Stabilità o altre scorciatoie. «Servono più risorse comuni, serve più visione strategica», ha affondato per i Socialisti la leader al Parlamento europeo Iratxe García, che a von der Leyen ha chiesto pure di rompere gli indugi, presentando una proposta per sequestrare i circa 200 miliardi di euro di fondi russi congelati nelle banche Ue per sostenere la resistenza ucraina. Pure i Popolari con Manfred Weber hanno fatto arrivare lo stesso messaggio: il piano è «un primo passo importante, ma il compito della nostra generazione è creare un vera e propria unione della difesa». In concreto, serve investire risorse ben più rilevanti (ed europee) su «progetti comuni a livello Ue come difesa missilistica, anti droni o un sistema satellitare». E poi, ha aggiunto Weber ambizioso, «a me piacerebbe vedere delle truppe con la bandiera Ue, ma questo nel piano ancora non c’è». Così come manca l’incorporazione della proposta francese (già accolta dalla Germania) di estendere al resto dell’Ue l’ombrello nucleare. Infine, la lamentela condivisa da buona parte dei gruppi politici, esplicitamente o implicitamente: «L’Unione europea di difesa è per difendere la nostra democrazia. È necessaria una legittimità ancora più democratica del processo. Il Parlamento deve essere pienamente coinvolto. Bypassare il Parlamento con l’articolo 122 è un errore», ha affondato il colpo Weber contro il progetto di von der Leyen di scavalcare l’Eurocamera sul maxi-piano.
L’assist di Le Pen a Meloni
Vuoi vedere che la proposta di cambiare nome al piano Ue farà strada a braccetto con le proposte ampiamente condivise di modificarne la ratio? Di certo a far piacere a Giorgia Meloni dev’essere stata l’inatteso abbraccio a un’altra sua proposta chiave: quella di convocare quanto primo un vertice Europa-Usa per discutere insieme il futuro dell’Ucraina, e non solo. L’ha fatta sua in Aula Jordan Bardella, leader del Rassemblement national di Marine Le Pen, che ha riconosciuto esplicitamente il ruolo propulsore di Meloni su questa strada. Per un dispetto a Macron e alle sue, di iniziative diplomatiche, questo ed altro.