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I dazi per ora non mordono l’economia Usa e l’inflazione scende al 2,8%. I consiglieri di Trump litigano sulle misure. E i grandi manager fanno pressing per evitarle

12 Marzo 2025 - 20:55 Fosca Bincher
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La Casa Bianca esulta per i dati sui prezzi perché smentiti gli economisti. Ricco retroscena del Wall Street Journal sull’incontro fra il presidente Usa e gli ad delle grandi aziende tecnologiche, che gli chiedono di non forzare le tariffe

I dati sulla inflazione Usa del mese di febbraio sono stati più bassi di tutte le previsioni degli economisti, registrando un +0,2% su base mensile e un +2,8% su base annua, in discesa rispetto al +3% del mese di gennaio. Anche l’inflazione core, quella depurata dalle componenti energetiche e dall’alimentare, è scesa al 3,1%, il dato più basso dal 2021. Una sorpresa rispetto alle attese, ma è anche vero che i rischi di una fiammata dei prezzi per le politiche tariffarie di Donald Trump sono restati virtuali, visto che il presidente americano i famosi dazi li ha più minacciati che introdotti. Il dato ufficiale così mercoledì 12 marzo ha ridato un po’ di fiato in apertura ai mercati finanziari, con gli indici che sono subito rimbalzati, rallentando però poco dopo durante la seduta.

Parte subito la propaganda presidenziale sui prezzi: smentiti i “gufi”

Il dato favorevole dell’inflazione, inferiore di 0,1 punti anche a quello pronosticato nelle ore precedenti dal tradizionale panel di economisti consultati dal Wall Street Journal, è stato immediatamente utilizzato dalla propaganda trumpiana. «Questo rapporto sull’inflazione, come quello sui posti di lavoro della scorsa settimana, è di gran lunga migliore di quanto previsto dai media e dai cosiddetti “esperti”. Quando impareranno a smettere di dubitare del presidente Trump? Come ha fatto con successo nel suo primo mandato, il presidente Trump sta facendo scendere i costi attraverso una massiccia deregolamentazione e il dominio dell’energia», ha esultato in un comunicato la portavoce del presidente Usa, Karoline Leavitt. E sul sito della Casa Bianca il comunicato è stato ancora di più amplificato per chiosare con lo slogan “L’America torna a ruggire”. Il dato però è di febbraio, e sarà inevitabilmente ancora condizionato dalle scelte che Trump farà davvero sulle tariffe e sulla risposta che sceglieranno i paesi colpiti dai nuovi dazi.

Si spacca sui dazi la squadra dei consiglieri economici della Casa Bianca

E proprio i dazi sono diventati la spina nel fianco dell’amministrazione Trump, fino a dividere profondamente la squadra dei collaboratori del presidente Usa, secondo un lungo reportage del Wall Street Journal (WSJ) denso di retroscena raccolti fra i fedelissimi della nuova amministrazione repubblicana. «I consiglieri economici del presidente», scrive il quotidiano finanziario, «lo hanno avvertito che le tariffe potrebbero danneggiare il mercato e la crescita economica, ma lui non si è lasciato scoraggiare». Il WSJ raccoglie da fonti riservate confidenze da cui pare che il principale braccio di ferro sui dazi sia in corso fra il direttore del Consiglio economico nazionale Kevin Hassett, e Il segretario al Commercio Howard Lutnick, ex amministratore delegato della società di servizi finanziari Cantor Fitzgerald, e frontman della linea dura di Trump in tutte le principali trasmissioni televisive.

Il burrascoso incontro del presidente con gli ad di Ibm, Qualcomm e HP

Non c’è però secondo il quotidiano finanziario solo la squadra dei collaboratori spaccata sui dazi di Trump. La principale preoccupazione viene infatti dagli amministratori delegati dei grandi gruppi industriali e finanziari americani, che starebbero facendo un robusto pressing sul presidente americano per rallentare l’operazione e farla nel modo meno drastico possibile. Secondo il Wsj il tema ha agitato l’incontro di lunedì dello stesso Trump con gli amministratori delegati di Ibm, Qualcomm, HP e altre grandi aziende tecnologiche. Riferisce il quotidiano finanziario: «Secondo una persona che ha partecipato all’incontro, alcuni degli amministratori delegati hanno espresso la loro preoccupazione per le tariffe di Trump, avvertendo che potrebbero danneggiare il loro settore». Anche i consiglieri economici del presidente hanno ammesso di avere ricevuto negli ultimi due o tre giorni decine di telefonate da manager delle grandi aziende americane preoccupati dei dazi e ancora di più della incertezza che viene dal continuo stop&go sulle misure da adottare.

Domenica sera la scivolata di Trump che ha causato il lunedì nero di Wall Street

Sorprende chi conosce da tempo Trump l’indifferenza che sta mostrando in queste settimane per le reazioni dei mercati alle sue uscite. Chi collaborava con lui durante il primo mandato ricorda come all’epoca il presidente compulsasse gli indici azionari ogni mezza giornata, ora invece sembra davvero ignorarli. E anzi, fa errori di comunicazione che infiammano la borsa. Come domenica scorsa, quando incontrando i giornalisti il presidente ha risposto a una domanda sugli effetti dei dazi rifiutandosi di escludere la possibilità di una recessione dell’economia Usa come conseguenza. È stata più quella dichiarazione a causare il lunedì nero di Wall Street che il continuo ondeggiare degli annunci su Canada, Messico ed Europa. E qualche malumore per questo emerge anche in dichiarazioni ufficiali dei senatori repubblicani. Come quella di Mike Rounds, senatore del Dakota del Sud: «Non sappiamo come sarà domani», si è sfogato, «e sono molto frustrato molto dall’incertezza che il programma tariffario sta imponendo agli agricoltori e alle imprese del mio Stato». Preoccupazioni simili a quelle del suo collega repubblicano Thom Tillis della Carolina del Nord: «Le imprese odiano l’incertezza», ha sostenuto, «e in queste condizioni non riescono a pianificare, per questo i mercati sono agitati».

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