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Elio attacca ancora: «L’autotune? È come il doping». E sulla censura: «Oggi ho paura di dire qualcosa di sbagliato»

13 Marzo 2025 - 09:39 Alba Romano
elio attacca autotune censura
elio attacca autotune censura
Il cantante ha ribadito l'attacco a Olly e al «99% dei cantanti di oggi». E ha poi raccontato, in un'intervista a Corriere Torino, la «sua» Milano

Da dire, e non di belle, sull’autotune Elio ne ha ancora. Dopo l’attacco diretto al vincitore del Festival di Sanremo Olly, in un’intervista a Corriere Torino il cantante di Elio e le Storie Tese è tornato alla carica: «Un conto è usarlo per ridere, come abbiamo fatto noi. Ma il problema è che oggi il 99% dei cantanti se ne serve per correggere l’intonazione». Uno strumento, dunque, che per l’artista è paragonabile al «doping nello sport, impedisce di gareggiare tutti nelle stesse condizioni». E ha ribadito il concetto espresso una settimana fa: «Lo trovo davvero un’umiliazione, sia per chi lo usa che per chi lo ascolta».

La Milano di Elio: «L’ingrediente principale è la follia»

Un discorso che sta a cuore del cantante milanese ma che al contempo esula, evidentemente, dalla sua produzione. Come il suo nuovo spettacolo, Quando un musicista ride, che bissa l’omaggio a Enzo Jannacci dello spettacolo Ci vuole orecchio e apre un altro cassetto: «Abbiamo aggiunto brani di Cochi e Renato, Giorgio Gaber, I Gufi, Clem Sacco. Un vero concentrato di follia milanese». Anche perché, ribadisce Elio pensando alla sua città, «Milano è sempre vista come una città lavoratrice, grigia, tutta nebbia e fabbrichette, al massimo da bere e berlusconiana, ma per me il suo ingrediente principale è la follia. O almeno lo è stato».

Elio e la censura: «La vita deve avere limiti, l’arte no»

Alla base della sua carriera, spiega Elio, c’è un semplice concetto: «Nella vita ci devono essere limiti, nello spettacolo e nell’arte no». Un discoro che vale soprattutto per la censura: «Quando furono scritte queste canzoni, 50 o 60 anni fa, la censura esisteva davvero ma non era così stupida da mettere questi limiti. Oggi teoricamente non c’è, eppure ne esiste una non ufficiale che porta a una diffusa paura di dire o fare qualcosa di sbagliato».

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