L’italiano Valerio Otteri al centro dell’inchiesta belga su Huawei. Affiancò l’ex Pdl Enzo Rivellini e l’ex Pd Nicola Caputo, ora assessore di De Luca


Sono due ex europarlamentari del Pd e del Pdl gli italiani con cui ha lavorato per dieci anni Valerio Ottati, il lobbista del gruppo Huawei presso il Parlamento europeo fermato dalla polizia belga per un’inchiesta sulla corruzione di europarlamentari che sta replicando lo schema già visto con il Qatargate. L’inchiesta, che ha portato a decine di perquisizioni e di indagati e che al momento non vede nessun politico nel mirino (ma le carte sono come sempre ancora coperte dalla polizia di Bruxelles), ipotizza il reato di corruzione in natura attraverso doni o biglietti per eventi offerti dai lobbisti del colosso cinese e mai dichiarati come prevedono invece le regole dell’Europarlamento. Al centro c’è appunto il lucano Ottati, 41 anni, dal giugno 2019 direttore europeo degli affari pubblici di Huawei e prima assistente parlamentare a Bruxelles e Strasburgo. Ottati è anche cittadino belga, avendo sposato l’anno scorso una bionda fiamminga con cui aveva avuto durante la convivenza tre figlie.

Il globetrotter del centro destra e il piddino folgorato da Matteo Renzi
I due europarlamentari con cui Valerio ha lavorato sono il napoletano Crescenzio (detto Enzo) Rivellini fra il 2009 e il 2014 e il casertano Nicola Caputo fra il 2014 e il 2019. Entrambi gli europarlamentari, sia pure da fronti opposti, hanno fatto parte del “Gruppo di amicizia Ue-Cina” su cui negli anni si sono sollevati molti interrogativi. Rivellini è una sorta di globetrotter del centrodestra italiano, perché all’europarlamento è arrivato con Forza Italia in cui militava in Campania. Alle regionali del 2020 però si è candidato senza successo con Fratelli di Italia e Giorgia Meloni. Oggi invece risulta fra i coordinatori cittadini della Lega in Campania. Per anni ha avuto un contenzioso con l’Olaf, l’ufficio antifrode delle istituzioni europee, che gli ha contestato di avere pagato fittiziamente per anni la sua compagna di vita. Il parlamento europeo gli ha chiesto indietro oltre 200 mila euro, lui è ricorso alla Corte di Giustizia che nell’ottobre scorso gli ha dato torto confermando il pignoramento della sua pensione da eurodeputato fino all’estinzione del debito. Caputo invece è nato nel Partito democratico ed ha avuto fin dall’inizio simpatie per Matteo Renzi continuando per questo a frequentare la Leopolda. Nel 2019 ha lasciato il Pd aderendo ad Italia Viva in cui ancora oggi milita. Dal 2020 Caputo è assessore all’agricoltura nella giunta regionale della Campania guidata da Vincenzo De Luca. Nessuno dei due- citati anonimamente nell’ordinanza belga- risulta al momento indagato nell’inchiesta per corruzione.

Più di due milioni di euro spesi ogni anno per lobbing dalla società cinese
Il caso Huawei ha agitato per molti anni le cronache del Parlamento e della commissione europea, soprattutto dopo il pressing americano per escludere i cinesi da qualsiasi accordo tecnologico in Europa. Molti paesi dell’Unione hanno continuato nonostante la richiesta a mantenere accordi di collaborazione con il gruppo cinese, ma all’interno della commissione e dei vari commissari è stata prevalente una linea di ostilità. La società aveva comunque accreditato ogni anno i suoi lobbisti (fra cui Ottati) presso il Parlamento europeo, dichiarando sul registro della trasparenza una spesa che negli ultimi anni è oscillata fra i 2 e i 2,5 milioni di euro. Nessuna delle attività, dei doni, e dei favori oggetto dell’indagine fa però parte di questo tetto di spesa, non essendo mai stato dichiarato né dal percettore né dall’erogante. Il parlamento europeo aveva messo a fuoco già da tempo i rapporti finanziari di alcuni suoi membri con istituzioni e società cinesi, contestando somme non dichiarate sia allo sloveno Franc Bogovic che al ceco Jan Zahradil. Vista la grande attenzione di cui era oggetto, Huawei ha preferito non avere rapporti diretti con i singoli, preferendo investire poco meno di 2 milioni di euro in quote associative di centri studi e associazioni dove poi si svolgeva sotto altra veste l’attività di lobbing per il gruppo cinese.
L’incidente diplomatico con Breton e le porte chiuse in faccia da Ursula von der Leyen
Nel 2020 aveva fatto rumore una call video fra il presidente di Huawei, Ken Hu, e il commissario europeo Thierry Breton, che aveva quindi fatto immaginare un cambio di rotta della commissione nell’atteggiamento di chiusura verso i cinesi. Subito dopo l’incontro però era arrivata una misteriosa telefonata a Breton da parte di un lobbista di Huawei “cantando di gioia”, come avrebbero scritto due anni dopo il “Financial Times” e “Politico” raccontando l’imbarazzo di Breton e le scuse ricevute dallo stesso Ken Hu per l’incidente diplomatico. Oggi raccogliendo le confidenze di ex dipendenti del colosso cinese la testata “Follow The money” svela che il lobbista del clamoroso incidente fu proprio l’italo-belga Otteri. Dopo quell’episodio Breton è diventato uno die più fieri oppositori di Huawei all’interno della commissione. E anche la presidente Ursula von der Leyen ha sempre declinato con qualche scusa le richieste di incontro ricevute da manager e lobbisti del colosso cinese. Secondo fonti interne della polizia belga riportate da “Follow the money” le indagini su Otteri e gli altri si sarebbero messe in moto dopo analoga indagine delle autorità francesi che un anno fa avevano sequestrato documenti negli uffici parigini di Huawei per una inchiesta che ipotizzava episodi di corruzione e traffico di influenza.
(in copertina nella foto al centro Valerio Otteri, lobbista Huawei, infortunato per una partita di padel, a destra Enzo Rivellini, ex pdl e a sinistra Nicola Caputo, ex Pd)