Pace, Europa, diritti, canzoni e tutti uniti contro i nemici Trump e Meloni. Ecco chi ha riportato in piazza e sul palco Michele Serra dopo tanto tempo
Il numero ufficiale che hanno scelto è stato «50mila». Forse un pizzico alto, come capita in ogni manifestazione. Ma erano davvero tanti ad avere riempito piazza del Popolo sabato 15 marzo, chiamati da Michele Serra e da Repubblica, il suo quotidiano, a battere un colpo per sentirsi europei. Erano tanti quanti a chi scrive non è capitato di vederne pur avendone seguite a decine in quella piazza romana, di centrodestra, grilline, sindacali, di centro sinistra. Tanti. E molti a sventolare la bandiera blu europea, soprattutto quelli più vicini al palco. Tanti lì per altri motivi, chi con la bandiera della pace, chi con un fantoccio di Donald Trump, chi proprio per farsi vedere in piazza dopo tanto tempo. Non importa per quale motivo.
Bonelli ad Open: «Sono tutti per la pace e sanno che non c’è bisogno di nuove armi»
«Lo so, ci sono istanze diverse fra loro», spiega ad Open uno dei leader politici in quella piazza, il verde Angelo Bonelli, «ma sono tutti qui per dire che rifiutiamo la guerra. Che non c’è bisogno di nuove armi, perché in Europa ci sono già più di 600 miliardi di armamenti mettendo insieme gli arsenali dei 27 paesi. Cinque volte quelli che ha la Russia. Non c’è bisogno di comprare nuove armi, ma di un soggetto politico che pensi alla difesa del continente e che possa essere indipendente dagli Stati Uniti di Trump come dalla Russia di Putin». Bonelli la dice così, poi a dire il vero cartelli, slogan e interventi dal palco dicono molte altre cose, non sempre in sintonia fra loro. E pure le cifre sugli armamenti cambiano a seconda di chi prende il microfono. Fatto sta che chiunque dica la sua trova un applauso convinto della piazza. E non importa se dice altro, come Francesca Vecchioni che parla di diritti Lgbtq + e qualcun altro che parla di disabilità. Temi importantissimi, ma che poco hanno a che fare con il tema dell’Europa che deve difendersi da sola. Per infiammare la piazza basta aggiungere che quei diritti li sta cancellando Trump e parte la ola.

Renzo Piano, Antonio Scurati e quei mostri che non sono sempre stati altrove
C’è davvero di tutto su quel palco in presenza o in video. Renzo Piano che commuove dicendo a tutti con voce rotta «vi voglio bene», e sostenendo da buon architetto che le città non generano mostri, che invece vengono dal deserto «e in Europa non c’è deserto». Un tema su cui si avventura anche lo scrittore Antonio Scurati, fra i più amati da quella piazza. È stato fra i pochi a non scriversi il discorso e a non essere noioso. Con un pizzico di arte retorica ha inanellato un discorso su “noi europei” che “non siamo”. Non siamo quelli che massacrano la gente. Non siamo quelli che rapiscono i bambini. Non siamo quelli che invadono altri paesi. Non siamo quelli che bombardano e sterminano. Si è fatto trascinare dal suo incedere l’autore di “M”. Ma alla fine se ne è reso conto. «Non siamo quelli, ma lo siamo stati. E proprio perché lo siamo stati da 80 anni non lo siamo più». Già, perché è proprio l’Europa ad avere fatto vedere nel secolo scorso il volto più mostruoso che abbia mai visto l’umanità. Anche se non c’è nessuna zona deserta nel vecchio continente.

Gli attivisti, i due giovani di Parma, e la musica che riporta De Andrè e Dalla in piazza
C’è l’attivista iraniana Pegah Moshir Pour che racconta come oggi sia diventata felicemente una mamma italiana. Ci sono due senatrici a vita come Liliana Segre (in video) ed Elena Cattaneo che si tengono strettamente al tema della manifestazione pensando che l’ora è giunta e che questa Europa bisogna farla davvero. Ci sono due ragazzi di Parma, Emma Nicolazzi Bonati e Francesco Sansone testimonial della città che sta per diventare capitale europea della gioventù e che hanno raccontato il loro progetto di “una piazza per l’Europa”. C’è Lella Costa che recita una poesia di Elsa Morante e ci rimane male alle 18 in punto quando scattano le campane delle chiese della piazza. Ma poi ci ride su: «un complotto dei soliti». C’è Mauro Pagani che non parla, ma canta la Creuza de ma in genovese che aveva ideato con Fabrizio De Andrè. C’è Renzo Rubino che incanta tutti cantando Henna, la canzone della pace di Lucio Dalla. Ci sono centinaia di sindaci (anche quello di Barcellona). C’è Corrado Formigli che ricorda la sua partenza per l’Erasmus dando un gran dispiacere alla fidanzata dell’epoca, Tatiana. La ragazza ci rimase male, ma, confida il conduttore tv ad Open, «alla fine la ritrovai ancora. E ancora oggi siamo amici». C’è Ezio Mauro ex direttore di Repubblica, cercato come un divo per i selfie. C’è Albino Ruberti, il grand commis del Pd, felice come una Pasqua sul palco a dare direttive al conduttore della giornata, Claudio Bisio.

Il tappo saltato di un popolo che per due anni e mezzo non osava mettere la testa fuori
Piazza del Popolo è lo specchio di tutte quelle sensibilità diverse viste sul palco che se le metti una in fila all’altra non tantissimo in comune sembrano avere. Una cosa sì però: sentirsi tutti di sinistra, antitrumpiani, antimeloniani e finalmente in piazza. Forse non giovanissimi, (i più avevano capelli bianchi e i volti segnati dagli anni), ma per un giorno liberati. Per due anni e più, dopo la vittoria di Giorgia Meloni, hanno sentito la botta, e che botta. Poi davanti alle continue divisioni del centrosinistra, non hanno avuto l’occasione e forse nemmeno la voglia per dire «ma noi ci siamo ancora». C’è voluto Michele Serra per togliere quel tappo e liberarli. E non hanno proprio voluto perdere l’occasione, come un fiume che ha trovato finalmente l’acqua che gli serviva per correre e riempire quel letto che sembrava vuoto.