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L’inflazione peggiora la dieta. Dai succhi di frutta ai bastoncini di pesce, così la spesa «low-cost» mette a rischio la salute

16 Marzo 2025 - 13:44 Gemma Argento
Spesa supermercato
Spesa supermercato
I prezzi dei beni alimentari salgono, le scelte d'acquisto si complicano. Ora uno studio su Lancet mette a fuoco i rischi di lungo termine

Negli ultimi due anni fare la spesa è diventato un vero esercizio di strategia: una questione di prezzi certo, ma anche di tutela della nostra salute. Mentre i costi aumentano molti italiani rischiano di rinunciare senza accorgersene a un’alimentazione equilibrata scegliendo tra gli scaffali sostituti di cibi più economici ma tutt’altro che sani. Quanto sta incidendo il caro spesa sulla qualità di quello che scegliamo di mangiare e quali le conseguenze a lungo termine sulla nostra salute?

La corsa dei prezzi tra il 2023 e il 2024

Secondo i dati Eurostat, le montagne russe del rincaro hanno colpito in maniera evidente i Paesi dell’Unione europea, con una salita importante dei costi nel 2023 quando alimenti di base, spesso essenziali per la composizione di un regime alimentare sano, hanno subìto una grossa impennata dei prezzi:

  • Olio d’oliva: si è registrato un rincaro da record, con cifre aumentate del 50% rispetto all’anno precedente. La scarsità della produzione dovuta alla siccità e alle malattie degli ulivi ha reso questo bene essenziale sempre più costoso.
  • Uova: fondamentali per molte preparazioni, le uova hanno visto un incremento del 37% rispetto ai livelli di inizio 2021, con un’impennata legata all’aumento dei costi di produzione e alla crisi del settore avicolo.
  • Frutta e verdura: per i prodotti frutticoli si parla di un +9,4% rispetto all’anno precedente. Ancora peggio per la verdura con un +20,2%.
  • Patate: l’aumento del 53% ha reso anche questo alimento base meno accessibile, con picchi di prezzo soprattutto nei mesi estivi.
  • Latte e derivati: i prodotti caseari hanno registrato aumenti tra il 20% e il 30%, con il latte fresco e il burro tra i più colpiti.
  • Zucchero: il costo è cresciuto del 48% nel corso del 2023, complicando la produzione di prodotti dolciari e aumentando i costi per i consumatori.

A intervenire con dati non incoraggianti anche l’Istat, registrando un aumento medio dei prezzi al consumo del 5,7%, con un picco del 9,8% a gennaio. Nel 2024, mentre alcuni prodotti hanno mostrato un rallentamento nella crescita di prezzo, altri beni di largo consumo non hanno arrestato la loro risalita.

  • Olio d’oliva: ha continuato la sua corsa al rialzo, con un ulteriore +30% rispetto al già elevato prezzo del 2023. Alcune marche hanno addirittura raddoppiato il costo in due anni.
  • Pane e prodotti da forno: l’aumento del costo del grano ha spinto i prezzi del pane e dei prodotti da forno fino a un +15% rispetto al 2023.
  • Pesce fresco: complice il rialzo dei costi energetici e della filiera della pesca, il prezzo del pesce fresco è salito di circa il +12%, con punte più alte per alcune specie come il salmone e il tonno.
  • Carne bovina e suina: il costo della carne è aumentato di un +10-15%, soprattutto a causa dell’aumento dei costi di mangimi e trasporti.

Questi dati dimostrano come il caro spesa abbia reso sempre più difficile mantenere un’alimentazione sana ed equilibrata. Se alimenti essenziali come olio d’oliva, pesce e verdure fresche diventano beni di lusso, il rischio è che sempre più persone si rivolgano a prodotti ultra-processati e meno nutrienti.

Così l’inflazione impatta sulla salute

Un nuovo studio pubblicato su The Lancet ha per la prima volta indagato in modo sistematico la relazione tra inflazione e salute umana. I ricercatori si sono concentrati sugli effetti dell’aumento dei costi sui parametri sanitari e sui fattori di rischio collegati. La revisione ha elaborato un modello logico che descrive i meccanismi attraverso cui l’inflazione incide sul benessere distinguendo i fattori strutturali: reddito, occupazione, condizioni socio-economiche; dai fattori diretti tra cui l’insorgenza di rischi per la salute e l’accesso alle cure mediche.  

Tra i fattori di rischio registrati dal nuovo modello c’è anche quello legato all’acquisto e al consumo degli alimenti. Oltre a un calo delle quantità di cibo messo nel carrello, l’aumento dei prezzi si lega a vere e proprie variazioni nella preparazione stessa dei cibi, nella tipologia di consumo e negli orari dei pasti, soprattutto con la scelta di alimenti pronti e di più consumazione. Cambiamenti che colpiscono soprattutto famiglie economicamente svantaggiate con una riduzione della quantità di grassi buoni e verdure nel regime alimentare, fino all’omissione di interi pasti durante la giornata.

Modello logico preliminare che illustra i possibili percorsi degli effetti dell’inflazione sulla salute

Con cosa sostituiamo i cibi costosi?

Se spesso avvicinandosi al banco di frutta e verdura i prezzi ci sembrano troppo alti l’idea rischiosa è quella di poter fare a meno anche di una piccola quantità di prodotti per riempire la dispensa con alimenti “simili” ma più economici e di quantità maggiore. A quel punto la scelta per esempio potrebbe ripiegare verso sostituti ultra-processati che all’occhio potrebbero risultare altrettanto sani. Se non di farne a meno del tutto, l’obiettivo è quello di scegliere con consapevolezza e dosare le quantità assunte.

Sostituti tipici della frutta:

  • Succhi di frutta. Spesso di origine industriale,contengono zuccheri aggiunti e hanno un contenuto di fibre molto inferiore rispetto alla frutta da banco.
  • Snack alla frutta (barrette o caramelle gommose alla frutta). Hanno un alto contenuto di zuccheri e spesso contengono solo una minima percentuale di frutta.
  • Marmellate e confetture zuccherate. Contengono alte quantità di zuccheri e meno fibre rispetto alla frutta intera.
  • Frutta in scatola. Spesso sciroppata, arricchita con zuccheri e conservanti, riduce il valore nutrizionale rispetto alla frutta fresca.
  • Smoothie industriali. Anche se sembrano salutari, molte versioni commerciali contengono zuccheri aggiunti e meno fibre.

Sostituti ultra-processati della verdura:

  • Zuppe e vellutate pronte in lattina o brick. Possono contenere elevate quantità di sodio, additivi e conservanti.
  • Chips di verdura. Spesso trattate con oli raffinati e sale in eccesso.
  • Sottaceti e conserve. Ricchi di sodio, zuccheri e additivi, molto più poveri di vitamine.
  • Verdure liofilizzate in snack confezionati. Per migliorarne sapore e conservabilità contengono notevoli quantità di sale e sostanze additive.
  • Sughi e condimenti pronti a base di verdure. Possono contenere oli di bassa qualità, zuccheri e sale in quantità elevate.

 Sostituti ultra-processati del pesce:

  • Bastoncini di pesce surgelati. Spesso a base di pesce tritato e riformato con aggiunta di amidi, aromi artificiali e oli vegetali.
  • Surimi (polpa di granchio finta). Contiene additivi, zuccheri e glutammato monosodico per migliorarne il sapore.
  • Pesce in scatola in salamoia o salse industriali. Il contenuto di sodio è molto elevato, e spesso vengono aggiunti conservanti.
  • Burger di pesce industriali. Contengono più additivi, oli raffinati e meno omega-3 rispetto al pesce naturale.
  • Zuppe di pesce pronte. Possono avere poco pesce reale e alti livelli di sodio e aromi artificiali.

Sostituti ultra-processati dei latticini

  • Formaggi fusi industriali (sottilette, spalmabili, fette per hamburger). Contengono oli vegetali idrogenati, addensanti e poco calcio.
  • Latte UHT aromatizzato (al cioccolato, alla vaniglia, ecc.). Spesso ricco di zuccheri e aromi artificiali.
  • Yogurt zuccherati o con frutta industriali. Contengono meno fermenti vivi e quantità eccessive di zuccheri.
  • Panna vegetale e simil-latticini industriali. Spesso fatti con oli idrogenati e senza le proprietà nutrizionali del latte vero.

Sostituti ultra-processati delle uova:

  • Sostituti liquidi o in polvere. Spesso contengono addensanti, aromi artificiali e conservanti.
  • Uova pastorizzate in brick. Possono contenere meno nutrienti rispetto alle uova fresche, in particolare vitamina B12 e colina.
  • Omelette o uova strapazzate pronte surgelate. Ricche di sodio e additivi per migliorarne la consistenza e la conservabilità.
  • Preparati per pancake e frittate istantanei. Contengono spesso farine raffinate, zuccheri e agenti lievitanti artificiali.
  • Maionese industriale e salse a base di uova. Spesso ricche di oli di bassa qualità, zuccheri e conservanti.

I rischi per la salute

Lo studio pubblicato su Lancet mette in luce come i cibi finora elencati nella maggior parte dei casi non costituiscono una valida alternativa, in primis per la scarsa quantità di micronutrienti presenti all’interno, perduti nei processi industriali di lavorazione. Le eccessive quantità di zucchero e sodio, inoltre, contribuiscono a un regime alimentare totalmente sbilanciato e quindi dannoso. Fino alla scarsa quantità di fibre, essenziali per la digestione e salute intestinale, spesso rimossa proprio nei cibi ultra-processati.

È in molti casi evidente come la riduzione del consumo di alimenti essenziali stia avendo conseguenze dirette sulla salute pubblica. Diversi sono gli studi scientifici che negli ultimi anni hanno dimostrato come un’alimentazione povera di nutrienti base possa aumentare di molto i rischi di malattie croniche. Tra i pericoli principali:

  • Obesità: il minor consumo di alimenti freschi e la loro sostituzione con prodotti ultra-processati favorisce l’aumento di peso. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, i paesi con un alto consumo di cibi ultra-processati hanno tassi di obesità fino al 30% superiori rispetto a quelli con una dieta più naturale.
  • Diabete di tipo 2: l’eccesso di zuccheri e grassi saturi nella dieta è un fattore di rischio per l’insulino-resistenza. I ricercatori su JAMA Internal Medicine dimostrano che un maggiore consumo di bevande zuccherate è associato a un aumento del 26% del rischio di diabete.
  • Infarti, ictus e malattie cardiovascolari: l’aumento dei prezzi del pesce e dell’olio d’oliva ha ridotto il consumo di acidi grassi omega-3, essenziali per la salute del cuore. Secondo una ricerca pubblicata su The New England Journal of Medicine, una dieta povera di omega-3 aumenta del 23% il rischio di infarti e ictus. La stima inoltre è che un consumo giornaliero di 600 grammi di frutta e verdura potrebbe evitare oltre 135mila decessi, riducendo di un terzo le malattie coronariche e dell’11% gli ictus.

Foto di copertina: EPA/JIM LO SCALZO

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