Tre anni fa la strage di Mariupol, parlano i superstiti: «I morti sotto il cemento, i russi nelle nostre case» – L’intervista


Quattro sedie, una recinzione, qualche costume appeso. Non serve grande scenografia per raccontare la brutalità della guerra. Basta la forza della testimonianza. Il 16 marzo 2022, tre anni fa esatti, l’aviazione di Vladimir Putin compiva quello che passerà alla Storia come l’attacco più mortale nella guerra all’Ucraina: il bombardamento del teatro di Mariupol. Cuore pulsante della vita culturale della città, dall’inizio del mese si era trasformato in un gigantesco rifugio per centinaia di civili in cerca di riparo dalle bombe russe. Non colpiranno anche il teatro, non un luogo stracolmo di famiglie, si dicevano l’un l’altro. Per assicurarsene, qualcuno vergò a caratteri cubitali (cirillici) la parola «bambini» sul piazzale del teatro, così che chiunque anche dal cielo vedesse e capisse. I russi bombardarono. Nei giorni precedenti, d’altra parte, dopo aver tagliato gas, luce e Internet e cinto d’assedio la città, avevano già colpito di tutto: un cimitero, l’ospedale pediatrico e il reparto maternità, poi una piscina diventata anch’essa rifugio. Asserragliati nel teatro erano oltre un migliaio di civili. Si salvarono in poche centinaia. Alcuni di questi riuscirono poi a scappare dalla città stretta in assedio. Tra questi anche Olena Bila e Igor Kitrish, due attori della storica compagnia d’arte drammatica di Mariupol. Quella storia, la loro e di centinaia di altre persone – sopravvissute e non – è diventata una pièce teatrale, Mariupol Drama. Che ora arriva in Italia: sarà di scena il 23 marzo al Teatro Oscar di Milano.

La vita prima e dopo la guerra
«Dopo essere sfuggiti a quella tragedia, sentivamo il bisogno di raccontare a tutti cosa significhi trovarsi invasi, perseguitati, bombardati senz’alcuna giustificazione», raccontano Bila e Kitrish a Open qualche giorno prima della loro partenza per la tournée europea. A smuovere in loro quel sentimento è stato Olexander Gavrosh, un regista teatrale di Uzhorod, la città dell’estremo ovest ucraino dove i due attori arrivarono dopo essere fuggiti, insieme al figlio di 10 anni, da Mariupol. Non è la Storia con la S maiuscola che sta a cuore alla squadra che ha creato Mariupol Drama, ma le storie minime – la vita quotidiana delle singole persone prima e dopo l’inizio della guerra, di una guerra senza un perché. «Quando salgo in scena voglio trasmettere l’incredulità, l’incomprensione da parte di persone che sino al giorno prima avevano abitudini, gusti, passatempi, vizi e virtù come tutti», racconta Olena. «La distruzione e la voglia delle persone che tutto finisca al più presto», certo, ma anche quel misterioso, umano meccanismo che allora scatta: «Quando entri in stato di guerra capisci che devi essere freddo, lucido, cerchi dentro di te la concentrazione e trovi forze che non pensavi di avere. Ecco, vogliamo far vedere anche che la situazione ci ha reso più forti, quanto importante sia la vita e non le cose materiali. E testimoniare cosa fare per rimanere vivi».

Il colpo di spugna di Trump e la paura degli ucraini
Tre anni sono pochi, ma abbastanza per dimenticare, per chi vive lontano. La memoria delle stragi compiute dai russi in Ucraina – le uccisioni indiscriminate a Bucha, Irpin, Izjum, i bombardamenti sui civili a Kharkiv, Kramatorsk, Chasiv Yar, e ancora – pare già sbiadita. Tutto si tiene nell’imperativo scolpito da Donald Trump di «mettere fine al conflitto» quanto prima. Poco importa chi abbia dato fuoco alle polveri, come e perché. «Vedo che vi odiate molto, io mi pongo nel mezzo», ha detto Trump a Zelensky nell’incontro/scontro alla Casa Bianca con cui ha seppellito tre anni di sostengo Usa all’Ucraina. È con Vladimir Putin, condannato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra per azioni come quella sul teatro di Mariupol, che ha fretta di scendere a patti, oggi sull’Ucraina, domani chissà. «Trump dovrebbe non ascoltare cosa gli viene detto, ma aprire gli occhi e guardare cosa succede davvero. Vorrei che venisse qui e capisse che “dittatore” è Zelensky, e perché non porta giacca e cravatta…», ironizza amaro Igor Kitrish. «Se solo ti sentisse…», lo rimbrotta la compagna di vita e di scena. Se a Riad e Gedda si negozia sulle loro teste, per gli ucraini sono giorni di sospensione, attesa e paura.

Mariupol, tre anni dopo
Ma che ne è di Mariupol, e di quello storico teatro oggi? «La verità è che non lo sappiamo, non sappiamo esattamente cosa succede ora lì», in quell’area del Donetsk annessa con la forza come molte altre dalla Russia e che se il Cremlino riuscirà a imporre il suo diktat nei negoziati all’Ucraina non tornerà più. Ci si basa sulle voci che arrivano da quella terra dimenticata, perciò. «Dicono che i russi stiano ricostruendo il teatro», riferisce Igor: e infatti i media di Stato di Mosca diffondono orgogliosi foto e video dei lavori di ristrutturazione. «Dicono che i corpi dei morti nella strage di tre anni fa vengono ricoperti di cemento. E poi arrivano altri video, di cittadini di Mariupol buttati fuori dalle loro case per insediare persone russe spuntate da chissà dove», racconta ancora l’attore. «Non sappiamo cosa succede ora», conferma Olena. «Sappiamo però cosa successe allora, a uomini donne e bambini. Per questo l’unica certezza è che bisogna fare un monumento per tutte le persone che erano lì». O per lo meno portare in scena la loro storia.
