Meloni al Senato: «Non rispondere a dazi con altri dazi. Sosteniamo Trump nel lavoro per la tregua». Passa la risoluzione di maggioranza


Il Senato ha approvato la risoluzione numero due di maggioranza, presentata in Senato dopo le comunicazioni del premier, in vista del consiglio Ue del 20 e 21 marzo. Via libera con 109 sì, 69 no e 4 astenuti. Il testo, in 12 punti, ha visto la convergenza di tutte le forze di maggioranza, con parere positivo del governo. Respinte così le 5 risoluzioni presentate dalle opposizioni, rispettivamente dal M5S, IV, Pd, Avs e Azione. La presidente del consiglio Giorgia Meloni è intervenuta in un clima teso, sia nella maggioranza, sia nell’opposizione. Salvini non è accanto a lei, impegnato in un consiglio informale dei ministri dei Trasporti a Varsavia, c’è però Giancarlo Giorgetti e c’è Antonio Tajani. La scelta della premier è partire dai temi economici e non da quelli bellici che sono invece, probabilmente, i più attesi: «E’ un momento estremamente complesso per le dinamiche globali. Il consiglio europeo tradizionalmente dedicato ai temi economici si arricchisce di quelli geopolitici. Il tema di base sarà la competitività, riguarda il futuro dei nostri figli, i servizi che si possono offrire ai cittadini, la possibilità di difendere la nostra economia», dice anche se alla conclusione dell’intervento ribadirà chiaramente sia il sostegno alla politica di Trump, sia la prudenza sulle nuove spese in tema di armi (e il no ai militari italiani in Ucraina).
Il lapsus e la non risposta a Renzi
La premier Giorgia Meloni, al termine degli interventi dei senatori, ha preso la parola per rispondere alle domande. Ma in un paio di occasioni è incappata in un piccolo lapsus temporale, ripetendo più volte «questa mattina» nonostante l’incontro fosse iniziato solo nel pomeriggio, alle 14:30. Forse a causa della stanchezza. O della confusione. In ogni caso, quando è arrivato il turno di rispondere alle domande rivoltele da Matteo Renzi, che aveva sollevato diversi quesiti, tra cui quello sul Caso Almasri Meloni ha detto di non voler entrare nel merito, spiegando che non aveva intenzione di «alimentare la pubblicità» attorno al nuovo libro dell’ex premier.
Il green deal
«Una Europa depotenziata anche delle sue tecnologie è destinata ad essere più o meno ascoltata?», si chiede Meloni parlando degli investimenti sulla competitività: «E’ importante che questo Consiglio segni passi avanti concreti per vincere la sfida della competizione e non condannarci a essere gregari». «L’obiettivo deve essere la decarbonizzazione sostenibile e una politica industriale efficace. Il clean industrial deal va in questa direzione ma non vogliamo che sia un nuovo green deal con un nome diverso», aggiunge Meloni. La premier dice anche che «è la politica che deve guidare le scelte, non la burocrazia». L’invito alla commissione, dice, sarà quello di «ridurre i costi amministrativi del 25% per tutti e del 35% per le piccole imprese. Faremo di tutto per impedire che l’Europa venga soffocata dalle sue stesse regole». L’Italia, aggiunge, si è candidata ad essere «l’hub di distribuzione energetica» dell’Unione europea anche perché, aggiunge, ci sono oltre 300 miliardi sull’energia che finiscono in «Investimenti extra Ue».
I dazi
Meloni si sofferma sui dazi annunciati dagli Stati uniti e sulle contromosse promesse dall’Europa e qui è il primo passaggio in cui esplicitamente si discosta dalla posizione espressa dalla commissione europea e da Ursula von der Leyen: «Credo si debba continuare a lavorare con pragmatismo per evitare una guerra commerciale che ci danneggerebbe». I dazi, aggiunge, possono «facilmente tradursi in inflazione indotta»: «Risultato inflazione e stretta economica, non credo che sia una buona soluzione rispondere ai dazi con altri dazi».
L’immigrazione
Duro il passaggio sull’immigrazione, in cui Meloni ribadisce la sua linea centrata sul rimpatrio di «tutti coloro che entrano illegalmente all’interno dell’Unione europea»: «Difenderemo la nostra posizione anche sul rimpatrio rapido verso i paesi sicuri, oggetto di sentenze in Italia a volte dal sapore ideologico».
Il punto sull’Ucraina
Poi arriva il passaggio sull’Ucraina, in cui Meloni dice di partire da alcune cose che «non ha condiviso» che ha ascoltato nei giorni passati: «La nostra posizione a favore dell’Ucraina non è mai venuta meno. Ho preso questo impegno quando ero all’opposizione del governo Draghi», comincia. «Non cambiamo posizione – e sottolinea – non solo per FdI ma per l’intera maggioranza di centrodestra che ha sempre e compattamente votato per questa linea» dice, e chiama la stanting ovation quando sottolinea di essere al fianco del presidente Mattarella, accusato da Mosca «per aver ricordato chi sono gli aggressori e chi gli aggrediti». Ma Meloni dice anche, in un passaggio delicatissimo, di essere al fianco del presidente americano Donal Trump nel lavoro per ottenere una tregua permanente in Ucraina: «E’ un banale dato di realtà che non è possibile immaginare una garanzia di sicurezza duratura dividendo l’Europa e gli Stati Uniti. E’ giusto che l’Europa si attrezzi per fare la sua parte – ha aggiunto – ma ingenuo pensare possa fare da sola fuori dalla cornice», della Nato. A proposto dell’impegno militare, dice poi: «L’invio di truppe italiane in Ucraina non è mai stato all’ordine del giorno, come quella proposta da Gran Bretagna e Francia riteniamo sia molto poco efficace. Proponiamo invece la sottoscrizione di garanzie di sicurezza sul modello del trattato Nato, ma senza che questo includa l’automatica entrata dell’Ucraina all’interno dell’Alleanza atlantica».
Il piano Rearm Europe
Meloni risponde poi a chi l’ha criticata per la richiesta di cambiare nome a Rearm Europe: «La necessità della difesa non è solo armi, ci vuole invece un approccio a 360 gradi. Ricordiamo però che senza sicurezza non c’è libertà perché non possiamo difendere le nostre imprese e i nostri confini». A proposito del piano dice anche che gli 800 miliardi messi a disposizione dell’Unione europea è divisa in due parti, 150 miliardi di «prestiti su base volontaria», la seconda voce, 650 miliardi, è «una stima teorica se ogni paese arrivasse al 5% del rapporto tra spesa militare e pil, agendo al di fuori del patto di stabilità, ricorrendo a deficit aggiuntivo». In questo quadro, dice prudentemente, l’Italia «valuterà se attivare o meno questa possibilità». Meloni dice che non è detto che sarà questa la strada, anche perché al momento «i conti sono in ordine ed è un patrimonio che non vogliamo sprecare» e cita il meccanismo proposto da Giorgetti di «garanzie pubbliche europee», per «mobilitare i capitali privati e investimenti nel settore della difesa».