Mario Draghi torna in Parlamento: «La difesa comune Ue è passaggio obbligato. Vogliamo la sovranità energetica? Con il gas non si può»


Mario Draghi torna in parlamento per la prima volta da quando non è più presidente del Consiglio. E lo fa per un’audizione sulla competitività europea di fronte alle commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato. «La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea», ha scandito Draghi nella Sala Koch di Palazzo Madama.
I rapporti con gli Usa
Le prime parole pronunciate dall’ex premier riguardano soprattutto le conseguenze per l’Europa del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, mai nominato direttamente. Il primo pensiero va ai dazi annunciati da Washington, che «avranno un forte impatto sulle imprese italiane ed europee». Ma la svolta protezionistica degli Stati Uniti produce effetti non solo sui rapporti commerciali. Anche «nei fori internazionali», osserva Draghi, «l’Europa oggi è più sola». E la stessa traiettoria economica del Vecchio Continente rischia una severa battuta d’arresto: «La nostra prosperità, già minacciata dalla bassa crescita per molti anni, si basava su un ordine delle relazioni internazionali e commerciali oggi sconvolto dalle politiche protezionistiche del nostro maggiore partner», mette in guardia l’ex presidente della Bce, secondo cui oggi «sono posti in discussione» gli stessi valori fondanti dell’Ue, ossia «pace, prosperità, solidarietà e, insieme all’alleato americano, sicurezza, sovranità e indipendenza».
Come dovrebbe rispondere l’Ue ai dazi di Trump?
L’economia europea è molto più dipendente dal commercio con l’estero rispetto a Stati Uniti e Cina. Questo, avverte Draghi, significa che l’Europa è particolarmente vulnerabile alla guerra commerciale scatenata da Washington. «Noi europei traiamo il 50% del nostro prodotto interno dal commercio estero, più di Cina e Usa. Se gli altri mettono dei dazi e noi rispondiamo, alla fine creiamo a un danno anche a noi stessi», mette in guardia l’ex premier. Come dovrebbe rispondere quindi Bruxelles ai dazi, in parte solo minacciati e in parte già entrati in vigore, di Trump? La risposta, spiega Draghi, varia da settore a settore. Su alcune tecnologie, per esempio i pannelli solari, l’ex premier ritiene poco utile introdurre dazi. Su altre, per esempio l’acciaio, «siamo interessati più che altro a tutelare i posti di lavoro» e quindi «dovremmo incoraggiare gli investimenti diretti di chi è bravo a creare occupazione». Ma soprattutto, aggiunge Draghi, è importante che l’Europa «non trascuri la domanda interna», anche a costo di rimpiazzare una quota di commercio con l’estero.
Priorità alle bollette
Per il rilancio della competitività europea, che poi è il tema su cui Draghi è stato chiamato a riferire in parlamento, l’ex premier suggerisce di partire soprattutto da una priorità: il caro-bollette. «Costi dell’energia così alti pongono le aziende, europee e italiane in particolare, in perenne svantaggio nei confronti dei concorrenti stranieri». Questa situazione, continua l’ex premier, mette a rischio «la sopravvivenza di alcuni settori tradizionali dell’economia, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie ad elevata crescita». Ed è per questo che secondo Draghi «una seria politica di rilancio della competitività europea» non può che avere come primo obiettivo «la riduzione delle bollette per imprese e famiglie».
L’appello di Draghi per disaccoppiare gas e rinnovabili
Una prima opzione per ridurre i costi dei beni energetici è il disaccoppiamento del prezzo dell’energia prodotta da rinnovabili e nucleare dal prezzo di quella prodotta con fonti fossili, come gas e carbone. «In Europa, nel 2022, il gas ha rappresentato solo il 20% del mix energetico, ma ha determinato il prezzo dell’elettricità per più del 60% del tempo, e in Italia per più del 90% del tempo», ha fatto notare Draghi. Secondo l’ex premier, dunque, occorre certamente «accelerare sull’energia pulita» ma anche «disaccoppiare il prezzo dell’energia», senza «aspettare solo le riforme europee».
La difesa comune Ue come «passaggio obbligato»
Nell’intervento di Draghi c’è spazio anche per parlare del maxi-piano di riarmo annunciato da Ursula von der Leyen. Secondo l’ex premier, che è anche consulente speciale della presidente della Commissione europea, «occorrerebbe che l’attuale procurement europeo per la difesa, pari a circa 110 miliardi di euro nel 2023, fosse concentrato su poche piattaforme evolute invece che su numerose piattaforme nazionali». Il frazionamento, osserva Draghi, finora si è rivelato incredibilmente deleterio, visto che «a fronte di investimenti complessivi comunque elevati, i Paesi Ue alla fine acquistano gran parte delle piattaforme militari dagli Stati Uniti».
Oltre ad aumentare gli investimenti, però, c’è da costruire una vera e propria difesa europea, con «una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei» e che «sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale». Nel suo intervento, Draghi ha descritto la costruzione di «una difesa comune dell’Europa» come «un passaggio obbligato per utilizzare al meglio le tecnologie che dovranno garantire la nostra sicurezza». E per riuscirci, ha precisato ancora l’ex premier, «il ricorso al debito comune è l’unica strada».
Green Deal e «sovranità energetica»
Rispondendo alle domande di alcuni deputati e senatori, Draghi affronta anche il tema del Green Deal, che secondo i partiti più a destra rappresenta il vero freno al rilancio dell’economia europea. L’ex premier rigetta questa narrazione e spiega: «Non bisogna rinunciare alla decarbonizzazione, ma accelerare». Draghi ammette che alcuni errori sono stati commessi, per esempio quando «sono stati fissati obiettivi ambiziosi senza adeguare gli strumenti per far sì che quegli obiettivi fossero davvero raggiungibili». Fatta questa premessa, l’ex premier invita l’Italia e l’Europa a tirare dritto sulla strada tracciata dal Green Deal per affrancarsi dai combustibili fossili e puntare sulle fonti di energia pulita: «Se vogliamo la sovranità in campo energetico la produzione di energia non può venire dal gas, semplicemente perché noi non siamo produttori».
Foto copertina: ANSA/Giuseppe Lami | Mario Draghi nella Sala Koch del Senato durante l’audizione in commissioni congiunte, 18 Marzo 2025